Figli della ‘gig economy’, legata al boom del digitale. Una forma di organizzazione economica fondata sul lavoro a progetto, on-demand, freelance e occasionale.
Roma – L’Unione Europea ha deciso che i “gig worker” devono essere considerati lavoratori dipendenti. Ma è proprio così? E’ stato raggiunto un accordo transitorio dal Consiglio e Parlamento europeo sulla proposta di direttiva della Commissione Europea a favore di migliori condizioni lavorative per coloro che sono definiti “gig worker”. Si tratta di lavoratori figli della “gic economy” strettamente legata al boom del digitale. E’ una forma di organizzazione economica fondata sul lavoro a progetto, on-demand, freelance e occasionale.
Gli adoratori di questo nuovo totem ne cantano le lodi, in quanto a differenza di una prestazione continuativa, garantisce per i lavoratori più flessibilità e la possibilità di conciliazione con impegni diversi. Nella gig economy domanda e offerta di lavoro si incontrano tramite piattaforme digitali. Liberi professionisti, consulenti, studenti, lavoratori part time, disoccupati, impiegati full time e chiunque voglia offrire un servizio ricercato da un privato o da un’azienda può entrare nella gig economy. La cronaca, però ha raccontato tutt’altro: la continua violazione dei diritti economici e sociali.
Le piattaforme digitali della “gig economy” (Uber nel trasporto automobilistico, Deliveroo, food a domicilio e simili) sono degli intermediari tra il lavoratore e l’utente. Il giro d’affari è notevole, tanto che in Europa i guadagni oscillano oltre i 20 miliardi annui. I dati ci dicono che circa il 55% dei lavorati percepisce meno del salario minimo netto ed oltre 5,5 milioni su 28 sono erroneamente considerati lavoratori autonomi.
Secondo l’accordo raggiunto, un lavoratore deve essere inquadrato come dipendente, se la piattaforma garantisca almeno due dei seguenti requisiti: limiti massimi applicabili alla retribuzione che i lavoratori possono percepire: supervisione dell’esecuzione del loro lavoro, anche con mezzi elettronici; controllo della distribuzione o dell’assegnazione dei compiti; controllo delle condizioni di lavoro e limitazioni alla scelta dell’orario di lavoro; limitazioni alla libertà di organizzare il proprio lavoro e regole in materia di aspetto esteriore o comportamento. Oltre a garantire i diritti previsti per il lavoratori dipendenti, la direttiva stabilisce che l’uso degli algoritmi per la gestione delle risorse umane debba soddisfare alcune condizioni. Innanzitutto, i lavoratori hanno diritto ad essere informati su come vengono usati i sistemi automatizzati per le decisioni e il controllo.
Alle piattaforme è fatto divieto di sospendere l’account, di raccogliere dati sullo stato emotivo, razza, religione e salute del lavoratore. Quando la direttiva sarà definitivamente approvata, dovrà, poi essere recepita, dai Paesi membri dell’UE entro due anni dall’entrata in vigore. E’ stato stimato che l’inquadramento dei lavoratori come dipendenti rimpinguerà le casse statali fino a 4 miliardi annui di contributi.
Mentre, per la crescita dei costi, alcune aziende potrebbero anche desistere dal continuare. Un fatto analogo è capitato in Spagna, dove, dopo l’approvazione di una legge affine, Deliveroo ha deciso di cessare l’attività. Poiché non c’è nulla di definitivo, è tutto ancora in divenire. Fino a quando la legge non sarà approvata, si resta nel limbo delle buone intenzioni. Come dire che: “finora, dopo un gran parlare, la montagna ha partorito un topolino!”.