Dai legami con la ‘ndrangheta alle tangenti per le concessioni balneari, una serie di arresti colpisce gli amministratori locali del movimento.
Roma – Il partito di Giorgia Meloni si trova a fare i conti con una serie di vicende giudiziarie che hanno coinvolto diversi suoi esponenti a livello locale, sollevando interrogativi sulla selezione della classe dirigente e sui controlli interni al movimento. Dai casi di infiltrazione mafiosa agli scandali per corruzione, il quadro che emerge dalle cronache giudiziarie degli ultimi anni disegna un percorso a ostacoli per Fratelli d’Italia nel suo cammino verso la credibilità istituzionale.
Il caso Caruso e l’ombra della ‘ndrangheta
Il caso più eclatante risale al giugno 2019, quando Giuseppe Caruso, presidente del Consiglio comunale di Piacenza ed esponente di Fratelli d’Italia, finisce in manette con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Secondo l’accusa, Caruso, in qualità di dirigente dell’ufficio dogane di Piacenza, avrebbe agevolato una truffa per far ottenere fondi europei all’organizzazione ‘ndranghetista.

L’indagine rivela che Caruso “ha un ruolo non secondario nella consorteria” e avrebbe “messo stabilmente a disposizione le prerogative, i rapporti professionali e amicali e gli strumenti connessi” all’organizzazione criminale. Il partito, appena appresa la notizia, solleva immediatamente Caruso da tutti gli incarichi ma il danno d’immagine è notevole per una forza politica che fa della legalità uno dei suoi cavalli di battaglia.
Terracina: corruzione sul demanio marittimo
Nel luglio 2022 è la volta di Roberta Tintari, sindaca di Terracina. Tintari, eletta tra le fila di Fratelli d’Italia, finisce agli arresti domiciliari insieme a due assessori e al presidente del Consiglio comunale nell’ambito di un’indagine sulla gestione delle concessioni balneari, con l’accusa di corruzione.

Il caso assume contorni ancora più imbarazzanti quando riemergono le parole di elogio che Giorgia Meloni aveva riservato alla sindaca durante un comizio nel 2020: “Persona onesta, con questa classe dirigente non dobbiamo temere niente”. L’operazione decapita l’intera amministrazione di Terracina, considerato un feudo di Fratelli d’Italia in provincia di Latina.
Barbara Mirabella: arrestata in piena campagna elettorale
Nel settembre 2022, a pochi giorni dalle elezioni regionali siciliane, viene arrestata Barbara Mirabella, candidata per Fratelli d’Italia ed ex assessore comunale alla Cultura a Catania. L’accusa è di corruzione. Secondo la procura etnea, l’imprenditrice avrebbe ricevuto una mazzetta da 10mila euro quando ricopriva il ruolo di assessora al Comune di Catania.

Il timing dell’arresto, in piena campagna elettorale, amplifica l’eco mediatico del caso e costringe il partito a prendere le distanze da un’altra sua esponente. Successivamente, la procura chiederà l’archiviazione per il caso ma il danno politico era ormai fatto.
Ciò che emerge da questi casi è un pattern che si ripete: amministratori locali di Fratelli d’Italia che finiscono nel mirino della magistratura per reati che vanno dall’associazione mafiosa alla corruzione, spesso legati alla gestione del potere a livello territoriale.
La risposta del partito
In tutti i casi, la leadership nazionale di Fratelli d’Italia ha reagito rapidamente, rimuovendo gli interessati da ogni incarico e prendendo le distanze dalle vicende giudiziarie. Tuttavia, questi episodi sollevano interrogativi sulla capacità del partito di selezionare e controllare la propria classe dirigente locale, soprattutto in territori dove la presenza di interessi criminali o di pratiche clientelari è storicamente radicata.
Il caso Paratore: le società offshore della madre di Meloni
A complicare ulteriormente il quadro delle vicende che hanno interessato l’universo di Fratelli d’Italia si aggiunge il caso che riguarda direttamente la famiglia della premier. Anna Paratore, madre di Giorgia Meloni, è finita al centro di un’inchiesta giornalistica che ha rivelato la sua partecipazione in una complessa rete di società collegate a paradisi fiscali.

Secondo quanto ricostruito da Repubblica, tra il 1998 e il 2002 Anna Paratore era socia di diverse aziende – Lazio Consulting e Mr Partners – insieme al suo ex compagno Raffaele Matano, successivamente condannato per bancarotta fraudolenta. La Lazio Consulting aveva presentato sei proposte di progetto per la trasformazione del litorale romano nell’ambito del Patto Territoriale Ostia-Fiumicino, per un valore di circa 90 milioni di euro.
Nel febbraio 2002, le quote di Paratore vengono acquisite dalla D Construction Limited, società britannica controllata al 99% dalla panamense Fayson Trading, creata presso uno studio legale che sarebbe poi apparso nei Pandora Papers. La rete societaria si estende fino al Lussemburgo con la Polired, in un intricato schema di scatole cinesi che collega Roma ai principali paradisi fiscali mondiali.
Sebbene non emergano profili di rilevanza penale e le società siano state nel frattempo cancellate dai registri per mancata presentazione dei bilanci, il caso solleva interrogativi sulla trasparenza e sulla complessità degli interessi familiari che ruotano attorno alla figura della premier.
Per un movimento come Fratelli d’Italia che ha fatto della moralizzazione della vita pubblica e della lotta alla corruzione alcuni dei suoi temi distintivi, questi casi rappresentano una sfida alla credibilità.