Il lavoratore sprofonda in uno stato di narcosi, apatia, inerzia perché le sue doti professionali vengono castrate da una continua assenza di stimoli.
Il lavoro stressa o demotiva! Il lavoro è il totem per eccellenza di qualsiasi tipo di società, soprattutto di quella capitalista, a cui viene dedicato la maggior parte del tempo a disposizione degli individui e a cui vengono sacrificate vite umane in una sorta di adorazione verso la nuova divinità. Tuttavia esso è malefico, si insinua nelle nostre vite contaminandole nel profondo. Infatti, o provoca un eccesso di stress con tutti gli effetti del caso, oppure assenza di stimoli, perché ci si sente sottoutilizzati e sottostimati.
Per quest’ultima condizione è stata creato un termine ad hoc: “rustout“, letteralmente “arrugginire”. In pratica il contrario del “burnout”, ossia il sovraccarico di lavoro, mentre il nuovo arrivato richiama ad una situazione stazionaria, senza alti né bassi. La Dublin City University, Irlanda, in collaborazione con la Robert Gordon University, Regno Unito, hanno effettuato un approfondito studio sul tema su un campione di 154 educatori universitari. Intanto questo tipo di malessere è stato definito come “il declino mentale ed emotivo causato da compiti ripetitivi e dalla stagnazione professionale continua“.
Il lavoratore sprofonda in uno stato di narcosi, apatia, inerzia perché le sue doti professionali vengono castrate da una continua assenza di stimoli. Il lavoro comunque lo si guardi è una sorta di dannazione: se è troppo si va in burnout, se è sottostimato in rustout. Poiché l’equilibrio è difficile trovarlo in questa valle di lacrime, forse sarebbe il caso di abolirlo! L’ultimo arrivato come effetto del lavoro aumenta le sue dimensioni in un contesto che mira più all’efficienza e al risultato ad ogni costo che alla partecipazione del processo produttivo, provocando la sensazione ai lavoratori di essere dei fantasmi.
E’ una strana condizione, perché i ”restoutizzati” sono immersi nel lavoro, ma si sentono insoddisfatti e scoraggiati. Si resta impegnati nei propri doveri da compiere, ma proprio questo li fa sentire ancora più avviliti. La ricerca ha evidenziato come la burocratizzazione abbia prodotto solo una crescita costante di documenti cartacei, di regole scritte che provocano un apparente mutamento del sistema, ma che, nei fatti, neutralizzano sul nascere qualsiasi forma di creatività.

Il rustout si afferma anche quando è evidente uno squilibrio tra la propria ambizione professionale e le esigenze lavorative. Spesso è successo che lavoratori con alta professionalità ed esperienza, con doti di leadership sono caduti negli ingranaggi della ripetitività e di basso spessore rispetto al loro background professionale. Mentre il burnout è stato considerato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OSM) come un problema di salute mentale, il rustout resta figlio di un dio minore, quindi messo in secondo piano. Anzi meglio non parlarne.
Se nell’immediato l’oblio sembra beneficiare le organizzazioni aziendali, in quanto si sposta il problema, nel lungo periodo può diffondersi una cultura aziendale negativa che frena l’innovazione. A livello individuale provoca una condizione di tirare a campare, senza alcun stimolo che, comunque, si ripercuote sul contesto collettivo.
I rimedi? In primis, secondo lo studio, il riconoscimento come fenomeno inerente la salute mentale. In secondo luogo la consapevolezza da parte del management di considerare il benessere dei lavoratori come fondamentale per le sorti dell’azienda. Altrimenti si rischierà di rimanere schiacciati dalla perfida routine!