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Focus sulla povertà: abbiamo tutto da perdere e tutti abbiamo perso

Analisi sulle misure fallimentari della classe politica che non hanno arginato l’allargamento a macchia d’olio dell’indigenza. Dalla perdita del Capitale finanziario a quella del Capitale umano, i dati agghiaccianti di Caritas e Istat. Nelle parole dell’antropologo Galimberti il più grande incidente della storia.

Roma – Povertà, una parola che non può essere ridotta a una mancanza di risorse materiali e a un’indigenza economica. È uno stato di isolamento sociale, è la mancanza di un benessere spirituale che dovrebbe accompagnare la condizione umana. È la povertà di valori e di sentimenti che abbiamo perso per strada. Non sono solo numeri o fredde cifre che raccontano di famiglie – sempre di più – che faticano ad arrivare alla fine del mese, ma è una condizione socio culturale precaria che ha vinto la battaglia contro il benessere, ovvero l’esistere bene.

Emblematico è il titolo dell’ultimo Rapporto sulla povertà nel 2023 diffuso dalla Caritas, ‘Tutto da perdere’. Abbiamo perso tutti in questa battaglia, chi si volta dall’altra parte e chi guarda in faccia il male senza fare nulla. Ha perso soprattutto la classe politica, i tanti governi che hanno tentato di arginare il fenomeno con misure ‘tampone’, provvedimenti di urgenza in circostanze sempre più emergenziali. Quella classe politica che dovrebbe rialzare la testa e finalmente, invertire la rotta con misure strutturali efficaci e concrete, partendo prima di tutto da ciò che nobilita l’uomo. Il lavoro. Un principio impresso nel primo articolo della nostra Costituzione, ma che invece appare offeso, calpestato, vilipeso.

Urgenza di misure strutturali per affrontare la crisi

Contro la povertà l’ultima misura fallita è stata quella sul reddito di cittadinanza, oppio dei popoli che non solo in alcuni casi è finita in tasche sbagliate, ma che non ha dato nuovo slancio all’occupazione. Tramontato il sogno grillino oggi è la volta dell’Assegno di inclusione, ma i dati di Bankitalia già ci dicono che da Adi, la nuova misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli – al via dal primo gennaio 2024 –  resteranno escluse 900mila famiglie dalla platea dei potenziali beneficiari. E allora non bastano i tentativi della politica perché la povertà è un mare magnum che sta invadendo sempre più persone in Italia, in Europa, nel mondo.

I dati sono spaventosi: il Rapporto di Caritas Italiana del 2023, a quasi un trentennio di distanza dalla prima uscita, mostra l’aggravamento di tante situazioni di svantaggio socio-economico, che si pensava invece di poter superare. Vivono in situazione di povertà assoluta poco più di 2,18 milioni di famiglie. Sono 5,6 milioni di individui, quasi un abitante su dieci. Ma il dato che suscita maggiore scandalo è quello relativo ai bambini e agli adolescenti: nel 2022 ha vissuto in condizioni di povertà il 13,4% dei minorenni. Una sconfitta per chi si trova direttamente coinvolto nella povertà, ma soprattutto una sconfitta per l’intera società, che si trova a dover fare i conti con una grande perdita di capitale umano, sociale, relazionale che sta producendo a lungo andare gravi impatti anche sul piano economico.

il Rapporto di Caritas Italiana del 2023: disastroso

Tutti abbiamo da perdere dalla presenza di oltre cinque milioni e seicentomila persone che vivono in povertà assoluta. Tutti dobbiamo sentirci sconfitti di fronte a un milione e duecento mila minori in condizione di indigenza, costretti a rinunciare a tante opportunità di crescita, di salute, di integrazione sociale, e il cui futuro sarà indubbiamente compromesso. L’Italia, infatti, risulta essere il Paese in Europa in cui la trasmissione inter-generazionale delle condizioni di vita sfavorevoli risulta più intensa: chi nasce povero molto probabilmente lo rimarrà anche da adulto. Questo costituisce un vulnus ai principi di uguaglianza su cui si fondano le democrazie occidentali. Su questo punto perde anche la nostra Costituzione, e in particolare l’articolo 3, che continua a restare inapplicato.

Anche l’Istat tuona contro l’inefficacia delle misure contro questo fardello: la povertà si eredita e chi nasce povero lo resterà. In Italia quasi un terzo degli adulti tra i 25 e i 49 anni a rischio di povertà, proviene da famiglie che versavano in condizioni finanziarie critiche. Alcune delle voci di spesa pubblica rivolte a bambini e ragazzi sono poi più basse rispetto a quelle dei paesi europei. La spesa pubblica per istruzione in rapporto al Pil mostra il minore impegno del nostro paese rispetto alle maggiori economie dell’Ue27 (4,1% del Pil in Italia nel 2021 contro il 5,2 in Francia, il 4,6 in Spagna e il 4,5 in Germania) e in generale rispetto alla media dei paesi Ue27 (4,8%). Inoltre, l’Italia spende per le prestazioni sociali erogate alle famiglie e ai minori una quota rispetto al Pil molto esigua, pari all’1,2% a fronte del 2,5% della Francia e del 3,7% della Germania.

Umberto Galimberti

E se è vero, come scriveva Vasco Pratolini che “La vita è una cella un pò fuori dell’ordinario, più uno è povero più si restringono i metri quadrati a sua disposizione“, l’ossigeno comincia a mancare a molti. Il capitale finanziario, il capitale umano, il capitale valoriale sono sotto attacco. La povertà di visione e di morale è forse l’ultimo degli aspetti del fenomeno che sta aggredendo la società. In un mondo dove gli influencer esclamando ‘Ciao poveri!’ simulano operazioni di solidarietà, il grido di dolore dei veri poveri è assordante. Come sono assordanti, nel silenzio generale, le parole di Umberto Galimberti, filosofo, psicologo e tra i massimi esperti di antropologia culturale.

“Che sussulto provoca al nostro senso morale la povertà? Nessuno. Anche se sappiamo che la povertà non è solo mancanza di cibo, non è solo un incontro quotidiano con la malattia e con la morte. L’estrema povertà – scrive Galimberti ne ‘Il senso morale di fronte ai poveri’ – è la fuoriuscita dalla condizione umana e insieme la sua riapparizione come ‘incidente della storia’, che fa la sua comparsa televisiva quando i conduttori della storia passano da quelle lande disperate che un giorno chiamavamo ‘terzo mondo’ e che ora, visti i tenori di vita raggiunti dal primo mondo, potremmo chiamare ‘non-mondo’, puro incidente antropologico, non dissimile da quegli incidenti geologici o atmosferici, che sotto il nome di terremoto o alluvione, chiedono soccorso”.

I pasti della Caritas sono aumentati del 12%

“Ma cos’ è un soccorso umanitario – conclude il filosofo – se non la latitanza del nostro sentimento morale che si accontenta di un gesto di carità, senza avere la forza di sollecitare la politica? E qui non penso alla politica che fa gli affari con la fame nel mondo, penso alla politica come al ‘non-luogo’ della decisione, perché la decisione avviene altrove, in quell’altro teatro, l’ economia, che da due secoli a questa parte ha ridotto la politica a un siparietto di quinta, dove ha luogo la rappresentazione democratica di interessi che operano dietro la scena e lontano dagli schermi”.

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