FILTRI D’AMORE NELLA ROMA ANTICA

Nell'antica Roma era frequente ricorrere ai filtri d'amore per dissolvere le pene di innamorati abbandonati o non corrisposti o per riaccendere la passione all'interno della coppia.

L’amore è antico quanto l’uomo e sfugge a qualsiasi legge razionale e fisica. Esso è inspiegabile, immotivato, improvviso, travolgente. Da sempre è stato fonte di ispirazione  e movente per i più grandi poeti al mondo che con singolari metafore hanno cercato di intrappolarne l’essenza.

Quasi tutti noi, almeno una volta nella vita, cadiamo sue vittime, perché è lui che si accosta a noi come una falena notturna alla luce, ma quando allungando le mani ci sembra di averlo catturato, con grande sorpresa e delusione scopriamo che continua a essere libero e volare intorno a noi, giocoso.

Ecco l’amore! Un bambino scherzoso con le frecce, un Eros senza riguardo che colpisce indiscriminatamente e fugge via.

Gli antichi se lo immaginavano così e poiché sapevano che era impossibile ingraziarsi i favori di Cupido con semplici doni, come era consuetudine propiziarsi gli altri dei, cercarono da sempre di carpirne il potere, la magia e i segreti reconditi per farne un’arma a loro vantaggio.

Ci sono riusciti?

Se così fosse, oggi il mondo sarebbe dominato da questo sentimento nella sua forma più pura e disinteressata più che dal desiderio di possesso e potere.

Esistono tuttavia tradizioni e testimonianze, appartenenti alla sfera definita magica, che si vantano di conoscere formule e rituali rigorosi con cui  governare e condizionare  l’amore a piacimento.

Nell’antica Roma era frequente ricorrere ai filtri d’amore per dissolvere le pene di innamorati abbandonati o non corrisposti o per riaccendere la passione all’interno della coppia. Tali magiche pozioni, chiamate “amatoria pocula”, erano generalmente composti di sostanze allucinogene in grado di alterare i sensi di chi li beveva e, talvolta, di potenti veleni, anche letali. Per questo motivo erano stati proibiti da Silla già nell’81 a.C. con la Lex Cornelia de sicariis et veneficiis.

Nell’opera Le metamorfosi del poeta latino Apuleio vengono elencati alcuni dei tremendi ingredienti usati per tali “medicine”: piccole lamine di piombo con scritte sconosciute dal potere magico, rottami di navi naufragate, membra di cadaveri, sangue di persone morte e il tutto annaffiato di aromi, forse per renderli più gradevoli o quanto meno accettabili al palato.

Apuleio ha sicuramente giocato ed esagerato con la fantasia e i suoi scritti sono ben lontani dall’avere un qualche fondamento scientifico, è molto più probabile che i filtri fossero intrugli ricavati da erbe, talvolta medicinali, talvolta velenose, mescolate senza troppa prudenza da  prezzolate guaritrici di mal d’amore.

Se gli amatoria pocula erano preparati direttamente dalla donna interessata a far capitolare il suo oggetto di desiderio era molto probabile che nell’intruglio vi fosse la presenza di sangue mestruale, da sempre considerato un potente ingrediente, seppur bizzarro fortunatamente innocuo, in grado di provocare desiderio.

Chi utilizzava questi filtri? Forse popolani superstiziosi? Non solo! Vi sono testimonianze di consumatori ben più importanti e in vista nella società dell’antica Roma.

Forse il caso più eclatante di ricorso alle arti magiche a scopo sentimentale fu quello della quarta moglie di Caligola.  Una tal Milonia Cesonia, precedentemente sposata con un aristocratico romano da cui aveva avuto tre figlie, divenne niente meno che compagna dell’imperatore, ben più giovane di lei, non tanto per le sue doti di seduttrice, quanto, secondo le insinuazioni di alcune malelingue, grazie all’uso di filtri magici. Per un motivo o per l’altro la storia racconta che l’aristocratica matrona riuscì nell’impresa di unirsi in matrimonio con l’imperatore. Rimane solo un dubbio: fu una pozione d’amore a rendere sempre più folle il già stravagante Caligola?

Se è stato Apuleio a darci una delle originali informazioni sui preparativi degli amatoria pocula, ciò che fa più sorridere è che lui stesso fu accusato di averne fatto uso. Del famoso scrittore delle Metamorfosi dissero che aveva circuito una ricca vedova, di circa dieci anni più grande di lui, costringendola a sposarlo grazie a un potente filtro a base di strani e non meglio identificati pesci magici.

Il poeta, però, fu prosciolto da ogni accusa poiché non furono mai trovate le prove di tale misfatto. Probabilmente l’aver parlato tanto liberamente di “pillole vendute sottobanco”  lo aveva semplicemente messo in cattiva luce presso  superstiziosi e conservatori.

In realtà non è così difficile immaginare che un giovane prestante e pieno di iniziativa potesse facilmente conquistare un’anziana vedova, né che una donna navigata e seducente potesse interessare un giovane imperatore annoiato.

Abbiamo parlato di filtri d’amore nell’antica Roma, ma è chiaro che ne esistevano ben prima e presso altre civiltà e non hanno mai smesso di esistere, né di essere usati.

Perfino oggi ci sono negozi specializzati in cui trovare ingredienti improbabili e manuali di ricette magiche che aprono un mondo singolare, per alcuni alternativo al reale per i più assurdo e grottesco. Per non parlare di maghi, guaritrici e specialisti del settore che si  pubblicizzano al pari di prodotti di uso quotidiano.

Non si sa che effetto possa avere un filtro d’amore sulla persona cui viene somministrato, ma è sicuro che la magia agisce su chi lo serve. Come l’uso di sostanze farmacologicamente inerti talvolta hanno potenti effetti placebo in grado di renderle efficaci nella cura di alcune sintomatologie, così può accadere nell’ambito della seduzione: nel momento in cui l’innamorato dona all’amato una pozione, si sentirà automaticamente più forte, sicuro di sé e ciò lo renderà più interessante e stuzzicante per davvero.

Non dimentichiamo che l’ingrediente più importante nel gioco della seduzione è la fiducia in se stessi.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa