La premier scioglierà la riserva il 28 aprile, chiudendo la kermesse di Pescara. Poi si potrà completare la scacchiera delle candidature.
Roma – Ancora un mese. Giorgia Meloni non esce dall’impasse sulla candidatura alle elezioni europee. Prende tempo. La premier sta ancora facendo “le sue valutazioni” e non scioglierà la riserva, salvo sorprese, prima della conferenza programmatica di FdI, in programma a fine aprile a Pescara proprio per lanciare il programma per la competizione elettorale Ue. Mentre dovrebbe rimanere “dietro le quinte”, anche se sempre presentissima, la sorella Arianna. “Preferisco di no, ma sono un soldato”, dice mentre stringe mani e scatta foto con i militanti arrivati fino al Palacongressi dell’Eur per scegliere il nuovo capo della federazione di Roma.
Il congresso romano si chiude senza colpi di scena, eccetto il passo indietro di Massimo Milani che ha consentito di garantire all’assise – la più importante, quella delle origini di Fratelli d’Italia – l’esito unitario. A guidare il partito sul territorio della Capitale sarà Marco Perissa (mentre Milani entra nella macchina di FdI, come terzo vice di Giovanni Donzelli all’organizzazione). E ora, archiviati “con un grande successo di partecipazione” i congressi “adesso si parte per la campagna elettorale”, assicura Arianna, spiegando che le liste ancora sono in via di composizione e che il criterio principale sarà quello di “valorizzare il territorio”, oltre a quello del “merito”. Senza stare a lambiccarsi troppo sulla questione delle donne, come sta accadendo in casa Dem.
La premier capolista in tutte le circoscrizioni potrebbe infatti ridurre il numero di donne che conquisteranno il seggio a Strasburgo. Al momento Fratelli d’Italia fa i calcoli partendo da quel 26% delle politiche che la stessa Meloni ha indicato come asticella per il successo delle europee: a conti fatti gli eurodeputati dovrebbero praticamente triplicare, passando da 8 a 24 (6 nel nordovest, 5 a est, 5 al centro, 6 al Sud e 2 nelle isole). Gli uscenti dovrebbero essere tutti ricandidati, anche se ci sarebbe qualche riflessione in corso su qualche nome. Tra le new entry dovrebbero trovare spazio molti amministratori locali, a partire da Stefano Cavedagna, attuale capogruppo in Consiglio comunale a Bologna, e dal sindaco di Pordenone, Alessandro
Ciriani (fratello del ministro Luca).
Ma si parla anche dell’ex senatore Mario Mantovani, del genovese Stefano Balleari, o dell’ex campionessa di sci Lara Magoni. Per chiudere le liste bisognerà aspettare l’ufficializzazione della candidatura della premier – che nel partito tutti caldeggiano e quasi tutti danno oramai per scontata – e la data segnata nel calendario è quella del 28 aprile, quando Meloni chiuderà la kermesse di Pescara. Ancora in via di definizione contenuti e ospiti ma il modello sarà quello delle altre due conferenze (al Lingotto di Torino nel 2019 e a Milano nel 2022).
Certo ci sarà da mantenere un equilibrio diverso oggi che Fratelli d’Italia è alla guida del governo e che si troverà al tavolo delle trattative per la nuova Commissione e per la presidenza del Consiglio europeo (ruoli per i quali il tam tam della politica continua a vedere tra i papabili anche Mario Draghi). E dovrà, a differenza del 2019, votare in conseguenza dell’accordo che verrà trovato, come fece 5 anni fa il Pis polacco, alleato in Ecr, e pure Viktor Orban. Ma per ora, è il ragionamento che si fa nel partito, non è sul tavolo davvero un bis di Ursula von der Leyen, pur se è stata indicata come spitzenkandidat dal Ppe. Prima bisognerà vedere come andrà il voto di giugno.
E anche per questo non è troppo piaciuto l’attacco a gamba tesa a Meloni di Marine Le Pen, peraltro “con
un video registrato”, come notano in FdI. Oggi, sintetizza un alto dirigente, si dialoga con Ursula perché è lei alla guida della Commissione e l’importante è portare a casa “il risultato migliore per l’Italia”. Domani chissà. Non c’era fisicamente Marine Le Pen, alla kermesse romana dell’ultradestra europea organizzata da Matteo Salvini. Ma è arrivato da lei il fuoco d’artificio con cui la Lega apre la sua campagna elettorale. In un delicato gioco di equilibrio Meloni-Salvini, messo a repentaglio dal vicepremier.
Nel video mandato all’amico italiano, Le Pen si rivolge direttamente alla premier italiana: “Giorgia, sosterrai il secondo mandato di von der Leyen? Io credo di sì. E così contribuirete ad aggravare le politiche di cui soffrono terribilmente i popoli d’Europa”. E ancora: “Dovete dire agli italiani la verità, dire cosa farete dopo il voto. Sono convinta che in Italia ci sia un solo candidato a destra che si opporrà con tutte le forze a von der Leyen: è Matteo Salvini. Con la Lega eleggerete deputati che non vi mentiranno e fermeranno le politiche della decrescita, quelle contro gli agricoltori, quelle che vogliono imporci la sottomissione all’islamismo più radicale“. Concetto ribadito poco dopo anche dal leader portoghese di Chega, Andrè Ventura.
Per ricambiare il favore a Le Pen, ma anche per convinzione, il vicepremier apre un altro problema a Meloni (e al ministro degli Esteri Tajani) attaccando duramente Macron sulla proposta di inviare truppe in Ucraina: “Il presidente francese è un guerrafondaio e rappresenta un pericolo per il nostro Paese e per l’Europa. Non voglio lasciare ai miei figli un continente pronto a entrare nella terza guerra mondiale”. Il leghista evoca Trump, “solo con i presidenti repubblicani ci sono stati anni di pace e prosperità”, dimentico delle guerre di George W. Bush in Iraq e Afghanistan. Per non apparire troppo putiniano, viste le polemiche dopo la sua benedizione alle elezioni russe, si concede un inciso: “È evidente che tra Russia e Ucraina sappiamo distinguere tra aggressore e aggredito”.