Il 49% degli italiani sono per l’Italiexit ma se dovremo rimanere dentro occorrono programmi trasparenti e incentivi onesti. Teresa Coratella ammette che l’Unione Europea è uscita sconfitta dalla situazione d’emergenza, presentandosi agli occhi dei più come incapace di pianificare una strategia comune per arginare la diffusione del virus.
Come si dice “cornuti e mazziati”. È proprio questa la sensazione che emerge leggendo le parole di Teresa Coratella, rappresentante dell’European Council on Forgeign Relations, nel suo testo I pericoli della crisi: Italia, Cina e Russia:
“…Il gioco delle narrazioni riguardante l’Italia nella crisi Covid-19 – scrive Coratella – rappresenta un rischio per il progetto europeo. (…) Il Paese è appena entrato nella terza e più delicata fase del gioco di narrazioni…”.
Stando alle parole del Programme Manager ECFR di Roma, l’Italia avrebbe attraversato una prima fase della narrazione, collocabile nel mese di marzo, che vedeva una classe politica monolitica pronta ad affrontare la crisi sanitaria in maniera comune. Il Bel Paese, poi, sarebbe passato a una seconda fase, figlia della rottura politica voluta dai leader sovranisti Meloni e Salvini, che ha visto l’Italia né più, né meno come la prima:
“…Nazione pronta a ricevere il sostegno medico dell’Unione Europea, dei suoi Stati membri, di Stati Uniti e, più visibilmente, di Cina e Russia. In questa fase è iniziata la graduale polarizzazione del governo di coalizione italiano…”.
E sempre secondo Coratella il Movimento 5 Stelle avrebbe rafforzato la narrativa pubblica elogiando Cina e Russia. Inoltre i Grillini avrebbero ricondotto il sostegno cinese al significativo impegno italiano rispetto al progetto di Pechino di continuare nell’ampliamento della Via della Seta. Non ultimo: “…Proprio l’investimento dell’Italia – continua la Coratella – nel progetto comune ha aiutato il Paese a reagire all’emergenza Covid-19 in modo più efficace…”.
La rappresentante europea ammette che l’Unione Europea è uscita come la grande sconfitta da questa situazione, presentandosi agli occhi dei più come incapace di pianificare una strategia comune per arginare la diffusione del virus:
“…Gli italiani – prosegue la Coratella – difficilmente dimenticheranno la loro rabbia per le dichiarazioni preliminari della presidente della Banca Centrale Europea Christina Lagarde e della presidente Europea Ursula von der Leyer. Le conseguenze di ciò sono già molto visibili: il 49% degli italiani ora vuole che l’Italia esca dall’UE, con un aumento di 20 punti percentuali dal novembre 2018…”.
Premettendo che probabilmente la struttura monolitica di cui tratta la Coratella non vi è stata neanche nella prima fase della diffusione del virus (utilizzata da molti per mera propaganda elettorale), la Programme Manager sembra guardare al dito e non la luna.
Nel tentativo di difendere la struttura europea Coratella tralascia che gli aiuti provenienti dalla Cina non sono stati solo i più visibili ma, nella prima fase della pandemia, anche gli unici. Ciò che si vuole far passare come un lapsus della Lagarde o della von der Leyer, è in realtà una strategia per fare ha emergere il proprio il pensiero sull’Europa. I dietro front espressi delle due rappresentanti comunitarie sono sembrati pura formalità. Nella realtà dei fatti il problema principale per gli organi europei è rimasto lo Spread, la riapertura delle fabbriche e il modo per far ingoiare ai Paesi meridionali la pillola del Mes.
Non è una questione meramente economica, a venir meno è stata proprio una presa di posizione istituzionale. Gli interessi della finanza, probabilmente, avranno impedito di sanzionare, almeno sotto il profilo morale, Olanda, Germania e Francia. Perché se si è smesso di parlare di Spread, il discorso che muovono gli Stati del Nord Europa è molto simile. La totale opposizione ad elargire prestiti incondizionati per chi quest’Europa l’ha contribuita a costruire dimostra una lacuna enorme nel concetto di nation-building (costruzione di un sentimento comune).
Il silenzio, poi, sulla situazione ungherese non fa altro che confermare le remore di molti cittadini europei che avevano intravisto nell’Unione Europea un baluardo di democrazia mentre hanno scoperto una gabbia finanziaria. Anche in merito al discorso Via della Seta e Cina, Teresa Coratella tralascia alcuni particolari. Il crescente interesse cinese nei Balcani è stato in qualche maniera permesso dalla noncuranza occidentale per le dinamiche interne del quadrante Sud Orientale europeo.
L’aver posto dei vincoli talmente proibitivi per inoltrare le domande d’adesione all’Unione Europea, senza aver mai predisposto un concreto piano d’aiuti economici per la ricostruzione post-guerra, ha fatto sì che molti dei protagonisti cadessero nelle orbite espansionistiche di Pechino, Istambul e Mosca. Ignorare che la repubblica di Srpska o la stessa Serbia stiano continuando con il loro piano di pulizia etnica ai danni di bosgnacchi e kosovari, ha di fatto legittimato la Cina a investire a Belgrado. Tale disinteresse non può essere spiegato se non con il dispendioso impegno che ci vorrebbe per equilibrare i meccanismi dei poteri nella polveriera balcanica. Insomma imputare le colpe al neocolonialismo cinese senza puntare il dito contro l’Unione Europea risulta quanto meno tendenzioso. Sarebbe come indicare la politica italiana colpevole di voler distruggere l’unità europea, senza contare che a marzo metà dei Paesi membri non facevano altro che minimizzare le nostre tensioni interne. Se l’Europa ha intenzione di continuare ad esistere dovrà farsi un’analisi approfondita sui propri limiti sotto la profilatura solidale ed egualitaria. Altrimenti non sarà l’Italia a distruggere l’Unione, ma la stessa UE ad implodere.