Missili riarmo

L’Europa al riarmo: è finita l’era della pace?

Dopo anni di pace garantiti dall’ordinamento post-bellico, la guerra in Ucraina ha distrutto l’illusione della “fine della storia”: siamo impreparati. E mentre si torna a parlare di leva obbligatoria, l’Europa corre al riarmo: cosa significherà vivere in un futuro in cui la guerra è un’opzione?

Roma – Dai tempi dei nostri nonni, gli unici conflitti di cui siamo abituati a sentire sono quelli asimmetrici: caccia stealth e missili di precisione contro guerriglieri armati di ferraglia. Sotto l’ombrello protettivo dell’apparentemente invincibile complesso militare di Washington, gli Stati europei si sono rilassati, facendo marcire nei magazzini tonnellate di materiale bellico e tagliando in ogni modo il budget della difesa. E quando ce lo siamo meno aspettati, la guerra è tornata: la guerra totale, che consuma voracemente uomini, mezzi, materiali. Ora, l’Europa deve prepararsi alla prospettiva di combattere le guerre del futuro. Come sta avvenendo? Innanzitutto, riattivando il complesso industriale; in secondo luogo – purtroppo – reintroducendo la leva.

La Germania vuole ricostruire un esercito potente. E non è l’unica nazione a guardare in quella direzione.

La guerra nel terzo millennio. Come si combatterà nel futuro?

La guerra in Ucraina è stata un fulmine a cielo sereno tanto per i cittadini quanto per i governi: per le persone comuni, è stata la prima volta in cui la situazione geopolitica ha impattato pesantemente la vita economica (vedi il prezzo del gas, il caro vita e così via). Per i secondi, è stato un cupo memorandum del fatto che, per quanto si possa fingere, la guerra è una realtà eterna e bisogna sempre prepararsi alla sua minaccia.

Per decenni gli Stati occidentali hanno ritenuto che le questioni di geopolitica potessero essere risolte con la diplomazia, gli strumenti economici (vedi le sanzioni, risposta ingenua – e inutile – alla crisi ucraina del 2014) e al limite qualche “missione di pace” affidata a un ristretto numero di soldati professionisti. Inutile dire, questa concezione è morta di fronte al primo conflitto serio del millennio, quello ucraino. E altri si profilano all’orizzonte: il Taiwan è già sotto gli occhi della Cina da decenni.

Cosa ci ha insegnato la guerra ucraina? Innanzitutto, la fanteria è ancora “regina delle battaglie“: per quanto le tecnologie contemporanee possano polverizzare intere città, nessuno strumento è duttile e impiegabile quanto una fanteria bene addestrata. E ce ne vuole tantissima: l’essenziale fallimento della strategia russa nel primo anno di guerra è derivato proprio dalla scarsità di materiale umano. I professionisti, semplicemente, non bastano, soprattutto se il conflitto diventa guerra di logoramento.

In secondo luogo, ci vuole tantissima artiglieria: molto più importante dei caccia, che costano troppo e possono essere abbattuti facilmente. Infine, ci vuole un sistema industriale in grado di produrre armi e munizioni che vengono divorate voracemente da un conflitto di massa. Quella di precisione si è rivelata decisiva – i celebri HIMARS, lanciarazzi che hanno completamento inceppato la logistica russa.

Infine, le tecnologie dell’informazione: droni, satelliti – tutto ciò che può indicare la posizione del nemico, dei suoi depositi, dei suoi messi di rifornimento.

Il pietoso stato delle nostre armi

I “cimiteri” di carri armati, in cui sistemi d’arma da milioni di euro marciscono

E come siamo messi rispetto a questa situazione? Malissimo. La leva è praticamente un argomento tabù, le nostre linee di produzione sono destinate esclusivamente all’esportazione (nella cinica convinzione che gli altri avrebbero fatto guerre, e noi occidentali ci avremmo solo speculato…). I maldestri e insufficienti tentativi di rifornire l’esercito ucraino hanno rivelato come le nostre scorte bastino a malapena in tempo di pace, figuriamo in preparazione a un conflitto.

Al contrario, da decenni abbiamo migliaia di carcasse di carri armati parcheggiati a cielo aperto e prendere la ruggine, mentre in tutta Europa i budget militari sono stati i primi a essere spolpati quando i soldi mancavano. L’unica eccezione ovviamente sono gli USA, che però a loro volta hanno avuto difficoltà: più che nei sistemi d’arma, piuttosto abbondanti, nel reperire munizionamento d’artiglieria, specialmente i proiettili “intelligenti” (come gli Excalibur) che danno veramente un vantaggio decisivo. Ma anche i 155 MM, di cui le forze di Kiev hanno una fame disperata e di cui sta riprendendo la riproduzione un po’ ovunque.

Bisogna osservare che, tuttavia, l’Europa ha già una industria sofisticata, in grado di produrre ottime armi e i microcircuiti necessarie a farle funzionare. Industria, tuttavia, improntata all’esportazione, non alla costruzione di un esercito. Ma il vento sta cambiando. La NATO ha sentenziato: “Gli alleati riprendano a produrre armi“. E anche i governi europei si sono accorti che è necessario riabituare i cittadini alla prospettiva di un conflitto di massa.

I progetti di riarmo

Alzare la spesa militare oltre il 2%: non più un tetto, ma una base di partenza. Questo il nuovo mantra dei paesi NATO, che annunciano grandi investimenti sia per rimpinguare le scorte (i magazzini sono stati già svuotati al limite per sostenere Kiev) che per avviare nuove linee di produzione.

Estremamente significativo il riarmo della Germania, potenza pacifista e smilitarizzata dal WW2 in poi, che ha dato atto a una nuova corsa agli armamenti che ha reso la sua spesa militare la terza del mondo. Riavviate molte linee di produzione di artiglieria e carri armati, ma con anche nuove produzioni: difficile dire come questo nuovo corso influenzerà gli equilibri europei.

L’Italia come è piazzata in questa corsa? Per ora bene: abbiamo molte aziende che vendono armi eccellenti e che hanno visto aumenti di fatturato. Ma per una produzione più costante, sarà necessario fare investimenti a lungo termine.

Esercito Italiano

Leva o non leva? Questo il dilemma

Una questione tornata bollente è dunque, come si è detto, quella della leva. Gli eserciti occidentali sono insufficienti per guerre di massa. “Un singolo scontro nel Donbass coinvolge più soldati di tutti i militari italiani inviati in Afghanistan“: e di ritorno al servizio militare parlano già in tanto. In Italia abbiamo Salvini, spinto più da istanze di ordine etico che politico (vista la nota simpatia per Putin); in Germania, il ministro della difesa suggerisce una leva improntata ai “valori civici”; in Polonia, dov’è già presente, si vuole estenderlo.

Probabilmente non è la soluzione giusta. L’etica occidentale ritiene inaccettabile mandare alla morte i propri cittadini in massa, a differenzia della Russia. E del resto, la naja costa – parecchio – e non produce alcun benefico economico. La soluzione dovrebbe più che altro riguardare la creazione di riserve addestrate – sul modello della Guardia Nazionale USA. Se ogni paese europeo riuscisse a mettere in campo, oltre ai professionisti, un 100.000 riservisti ciascuno ne uscirebbe una forza di fanteria più che adeguata a una guerra contemporanea.

Nubi sul nostro domani

Insomma, i cittadini italiani ed europei riprenderanno, con ogni probabilità, a interfacciarsi con la guerra in modo quotidiano: con irritazione, vedranno somme miliardarie spostate dalla sanità e l’educazione alla spesa militare. Ma è nello spirito del tempo: a meno che non avvenga il celebre regime change che rovescerà Putin e riallineerà i rapporto con l’Occidente, i rapporti tra i due blocchi saranno tesissimi per decenni. E poi c’è la Cina, con la sua rivendicazione del Taiwan (che sarà certamente messa in atto nei prossimi decenni), e chissà che altre minacce… La decadenza dell’egemonia USA aprirà, necessariamente, la strada ad un periodo di instabilità.

Ma il riarmo può essere anche un’occasione. Innanzitutto, di costruire un esercito europeo che consenta una politica estera veramente unita e indipendente – non come adesso, dove accasciandoci sotto l’ombrello di Washington, abbiamo accettato di esserne una propaggine politica. Insomma, la possibilità di prendere in mano il nostro destino: certamente, è da illusi credere che ciò possa avvenire senza la protezione di un vero esercito. Si vis pacem, para bellum, dicevano i nostri antenati.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa