Istat e Istituto Toniolo mostrano la fotografia impietosa sulla natalità: lavoro precario, caro affitti e scarsi servizi “remano contro”.
Roma – In crescita le coppie che decidono di non avere figli per libera scelta. Avere figli per una famiglia, la donna in particolare, è stato sempre considerato naturale, quasi alla stregua di un’imposizione biologica, per cui la non procreazione veniva considerata una menomazione. Oggi, al contrario questi condizionamenti non vengono subiti. Infatti, tra le coppie senza figli, la metà ha deciso di non averne. Non solo perché il welfare non è in grado di soddisfare i bisogni di una donna, madre e lavoratrice, i servizi per i bambini sono scarsi e il lavoro oggi c’è, domani chissà. Ma le motivazioni di non mettere al mondo dei figli dipendono anche da altri fattori. Uno di questi ha una base per così dire esistenziale.
Nel senso che molte coppie scelgono liberamente di non avere figli, liberandosi dal vincolo biologico e sociale e non manifestano alcuna volontà di mutare le loro condizioni e convinzioni. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’ISTAT, l’istituto nazionale di statistica, l’anno scorso sono nati 379 mila bambini, meno della popolazione di Bologna. Gli esperti hanno definito questa situazione “inverno demografico”, ovvero quel processo sociale caratterizzato da calo delle nascite, aumento dell’età media e, quindi, invecchiamento della popolazione.
A confermare questa tendenza è stata la ricerca dell’Istituto Toniolo di Studi Superiore, l’ente fondatore dell’Università del Sacro Cuore di Milano. L’indagine ha coinvolto 7mila donne tra i 18 e 34 anni, delle quali il 21% ha dichiarato con franchezza di non desiderare figli e il 29% ha manifestato uno scarso interesse alla genitorialità. Quindi, quasi il 50% di donne che, potenzialmente, potrebbero decidere di non procreare. A testimoniare il senso del mutamento sociale è il confronto dei dati. Negli anni ’50 le donne che decidevano di non diventare madri erano l’11%, mentre tra quelle nate tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, il 22% è senza figli, di cui il 12% ha scelto liberamente di non averne. Inoltre, è marcata la consapevolezza che l’identità femminile non sia legata alla maternità. Come ha rilevato la demografia, le rispettive scelte sono frutto di due contesti molto diversi.
Una volta vigeva l’obbligo sociale, oggi le nuove generazioni sembrano esseri liberate dal “dovere” di avere figli. Coloro che decidono di diventare madri, chiedono migliori condizioni di benessere, sicurezza e possibilità. Quindi, un supporto generale. Gli esperti ritengono che per “cambiare passo”, le campagne sulla natalità rischiano di ritorcersi contro. Bisognerebbe, invece, agire in maniera organica per affrontare una serie di nodi. Uno di questi è il caro affitti o la possibilità di accedere ad un mutuo, che è legato, quest’ultimo, alla precarietà del lavoro. Un altro è che al massimo ci si ferma al primo figlio, quando succede, perché è molto difficile conciliare i tempi di vita e quelli di lavoro.
E’ arcinota, a questo riguardo, la carenza di servizi per l’infanzia che fanno compiere salti mortali ai genitori. La terza criticità è rappresentata dalla alta probabilità di cadere in povertà, dopo il secondo figlio. La soluzione non è tanto proporre campagne di sensibilizzazione alla natalità, quanto, piuttosto, di progettare un ambiente vantaggioso per chi decide in libertà di avere figli, rendendo le politiche di welfare italiane all’altezza dei migliori modelli del Nord Europa. Su quest’ultimo aspetto, con gli attori politici che abbiamo a disposizione, con molto probabilità ci tocca… attendere molto tempo!