Donne al bivio tra figli e lavoro, niente paura ci sono le “mamme alla pari”

Si tratta di nuove figure di supporto alle madri che subiscono gli effetti dell’emergenza sociale e che hanno bisogno di aiuto.

Roma – Com’è complicata la vita di una neomamma! Già si fanno pochi figli e quelli che vengono al mondo sono un fardello pesante da sopportare, come ben sa ogni neomamma. Uno scricciolo di cucciolo d’uomo che dipende totalmente dalla madre per sopravvivere. Per molte di esse è il primo bimbo e, forse, vista la situazione generale, sarà anche l’ultimo. Ed è qui che fanno capolino una serie di dubbi su come accudirlo, qualunque decisione pensata sembra sbagliata. Tutto si svolge in questo rapporto binario: il bambino e la mamma che alla lunga diventa sfibrante per la poveretta.

Una volta c’erano le famiglie allargate e ci si dava una mano tra zie, nonne, cugine. Il nuovo arrivato entrava a far parte di una piccola comunità, per cui l’accudimento e la crescita del pargolo erano distribuiti nel rispetto della solidarietà. Oggi, solo poche fortunate e benestanti possono permettersi un aiuto in casa, ovviamente a pagamento, perché di solidarietà e cooperazione, non si notano nemmeno le ombre. Affrontare la maternità da sole è un compito arduo, che nemmeno i congedi parentali riescono a lenire. Negli ultimi tempi si sta diffondendo una nuova figura “le mamme alla pari”, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Unicef (il Fondo dell’ONU per l’infanzia) hanno definito come “donne che dopo vari corsi di formazione offrono, gratuitamente, il loro tempo alle altre mamme per sostenerle, soprattutto, nei primi mesi di vita del bimbo”.

Sono figure informali che, senza sostituire quelle professionali, grazie alla propria esperienza riescono, spesso a sollevare le neo mamme dalla paura della solitudine e dai grandi e piccoli timori che insorgono dopo la nascita del pargolo. L’aspetto fondamentale di questa nuova figura è che si pone a fianco della neo genitrice, senza dare giudizi di sorta, ma fornendo un aiuto concreto frutto delle passate esperienze. Tuttavia, molte neomamme manifestano una forte ritrosia nel chiedere aiuto, in quanto, secondo questa concezione, chi lo fa, mostra incapacità nel crescere il bambino.

La mamma alla pari, una sorta di sorella e amica, dunque, figure scomparse nella frammentazione della comunità familiare che si è venuta a creare nel corso della storia. In qualche realtà il processo sta dando buoni frutti. Ad esempio, a Trieste, già dal 2014, l’Azienda Sanitaria Locale, nell’ambito di un Progetto dell’Unicef per i bambini, piantò il seme della speranza, da cui è nata una “rete” che poi si è trasformata in un comitato e, infine, nel 2018, in un’associazione.

E’ proprio uno strano e crudele paradosso: si vive nel trionfo e nell’esaltazione della “rete tecnologica”, mentre quella reale, sociale, composta da interazioni umane, è deflagrata in tante piccole parti, individui soli, isolati dall’umanità, ma perennemente connessi col virtuale! Si avverte la mancanza dei rapporti di vicinato, del vicolo e del quartiere. Ben vengano le “mamme alla pari” se danno conforto a quelle che si trovano ad affrontare la difficile avventura di esserlo per la prima volta. E’ una dimostrazione di vitalità della cosiddetta “società civile”, ma al contempo una sconfitta per le istituzioni politiche che a livello sociale e legislativo sono molto carenti nel proporre un “welfare” adeguato alle nuove istanze sociali.

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