DONBASS COME I LAGER NAZISTI: PER L’EUROPA NON ESISTE

Per una nuova Jugoslavia c’è tempo, per adesso fanno banco solo le menzogne di Zelens’kyi.

La tregua in Donbass non esiste, la pace tanto attesa non è arrivata e le parole di distensione del presidente Volodymyr Oleksandrovyč Zelens’kyj risuonano come l’ennesima bugia sulla guerra. Soltanto nel mese di settembre 2019 sono state 39 le vittime tra le fila degli oppositori di Kiev; migliaia sono invece ormai i profughi prodotti dalla guerra, mentre praticamente inesistenti risultano essere le parole spese delle istituzioni europee in merito al conflitto. Un silenzio pesante, questo europeo, un silenzio particolare, un silenzio probabilmente dettato da un forte imbarazzo.

Dal 2014, in seguito al colpo di stato scaturito dall’Euromaidan, l’Ucraina si è progressivamente trasformata in un Paese autoritario, violento e altamente intollerante nei confronti delle minoranze presenti sul territorio nazionale, tanto da “guadagnare” l’epiteto di stato filofascista in diverse occasioni. L’ex repubblica sovietica non solo ha cominciato a bombardare ininterrottamente il Donbass non rispettando il diritto all’autodeterminazione dei popoli, ma si è resa protagonista di atti di efferata crudeltà paragonabili come modus operandi a quello della Germania nazista.

Dal massacro di Odessa del 2014 – nel quale furono arsi vivi circa 40 manifestanti contrari all’Euromaidan – fino all’abolizione del bilinguismo, sono stati molti i casi in cui l’ex governo ucraino di Petro Oleksijovyč Porošenko ha preferito la violenza al dialogo. Nonostante le elezioni del maggio 2019 abbiano premiato l’ex regista Volodymyr Oleksandrovyč Zelens’kyj, la politica di Kiev non sembra aver subito un sostanziale mutamento nei confronti della questione Donbass. Al contrario, il nuovo Presidente del Paese, nonostante si professi maggiormente aperto al dialogo con gli indipendentisti, non sembra distaccarsi dall’idea dell’appartenenza integrale della Nuova Russia all’Ucraina.

Il meeting tra Putin-Merkel-Trump ad Osaka in occasione del G20 sembra delineare all’orizzonte uno scenario molto simile a quello Jugoslavo. Una pace forzata, indotta dall’altro, che lascerebbe inascoltate le rivendicazioni avanzate delle parti in lotta, sopprimendo e non risolvendo la questione Donbass. Come successe nei Balcani, anche sul Donbass sembrano pesare gli interessi geopolitici particolari dello scacchiere internazionale. Nuovamente la sofferenza e le necessità della popolazione verrebbero relegati ad un piano inferiore, optando per la risoluzione più semplice. Come nei Balcani, dunque, l’indifferenza e il silenzio mediatico sembrano essere le maggiori armi contro cui il popolo della Nuova Russia deve scontrarsi. Il disimpegno europeo nella vicenda sembra perfettamente legato alla strategia collettiva in chiave antirussa perseguita dagli stati dell’Unione negli ultimi anni.

L’ipocrisia della sinistra moderata italiana in merito alla guerra in Donbass appare emblematica rispetto alla soggettività sull’interpretazione del conflitto. In particolar modo partiti come Più Europa o il PD, solo nominalmente antifascisti, si sono schierati a più riprese in solidarietà del governo di Kiev e, conseguenzialmente, in opposizione ai combattenti del Donbass. L’ex Presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini ha di fatto mostrato la pochezza dell’antifascismo del PD e la sua sudditanza agli interessi economici e ai diktat dell’UE. Era il 5 giugno 2017 quando la stessa Boldrini accolse il politico Andrij Parubij, allora Presidente del Parlamento ucraino e fondatore del movimento di estrema destra Svoboda – partito che si rifà apertamente a ideologie ultranazionaliste e razziali. Proprio Andrij Parubij nel 2018 ha affermato che Adolf Hitler è stato il maggior interprete del concetto di democrazia diretta nel cosiddetto secolo breve. Non stupisce, dunque, che lo spirito antifascista del PD sia sempre più bersaglio di critiche negli ultimi anni. D’altra parte, anche il nuovo governo di Oleksandrovyč Zelens’kyj sembra perseverare nella pratica tracciata dell’esecutivo precedente.

Poche settimane fa, infatti, l’attuale primo ministro ucraino Oleksij Goncharuk è stato fotografato sul palco durante il concerto di una nota band nazista del paese, non destando, tra l’altro, il minimo scalpore mediatico.

L’Europa rimane comodamente in silenzio, seduta di fianco al governo di Kiev, dimenticando un conflitto enormemente sanguinolento. Bisogna chiedersi, dunque, se anche in Ucraina, come successe per la Jugoslavia, l’opinione pubblica avrà bisogno di vent’anni per indignarsi e accorgersi dell’esistenza di una guerra a pochi km da casa, o se esiste invece una flebile speranza di invertire la rotta prima che sia troppo tardi. Al momento, però, non sembrano esserci segnali positivi. La guerra in Donbass continua ad essere un conflitto secondario, dimenticato o volutamente ignorato, che però segue producendo vittime, soprusi e contraddizioni ogni giorno.           

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