Le sfide della riduzione delle disuguaglianze in Italia: il ruolo della tassazione progressiva e delle politiche economiche per un futuro più inclusivo. La povertà, nel frattempo, galoppa.
Roma – Ridurre le disuguaglianze non è semplice e non esistono ricette economiche in grado di funzionare efficacemente in tutti i contesti. Di certo lo Stato ha cercato di redistribuire costantemente il reddito dei cittadini tramite una tassazione progressiva. Con l’avvento della nuova riforma fiscale, ancora in corso, si potrà valutare e verificare solo successivamente l’impatto sul singolo contribuente. Lo squilibrio dei redditi, d’altronde, è un tema fortemente correlato alle disuguaglianze.
Le condizioni economiche di partenza degli individui, in termini di reddito e patrimonio, creano delle barriere quasi insormontabili alla propria emancipazione sociale. Spesso condizionano il titolo di studio, lo stato di salute e di ricchezza nel corso di tutta la vita. Secondo Oxfam il 20% più ricco in Italia detiene quasi il 70% della ricchezza totale del nostro Paese, mentre il 20% più povero circa l’1,3%. Uno squilibrio enorme. Il patrimonio dei primi tre miliardari italiani sarebbe superiore alla ricchezza netta detenuta dal 10% più povero della popolazione italiana, circa 6 milioni di persone (37,8 miliardi di euro).
Anche se qualsiasi fascia della popolazione italiana ha visto migliorare il proprio stile di vita negli ultimi 60 anni, considerati i vari divari, è chiaro che si deve ancora compiere un lungo cammino per costruire una società più inclusiva. Nel 2020, a causa della pandemia, vecchie vulnerabilità si sono acuite e sommate a nuove fragilità, con conseguenze allarmanti per il benessere dei cittadini, l’inclusione e la coesione sociale. Nel 2022 caratterizzato da un’inflazione annuale galoppante, che ha raggiunto il livello record del 9,2 per cento in Ue, i salari e gli stipendi orari medi sono aumentati in tutti i 27 Paesi membri, con una media del 4,4 per cento.
Di poco inferiore il dato relativo alla zona euro, con un incremento del 4 per cento. Il rapporto pubblicato da Eurostat non sorride all’Italia, fanalino di coda con appena un +2,3 per cento di retribuzione oraria. L’Italia condivide il primato negativo con Malta, Finlandia e Danimarca, mentre gli aumenti più significativi sono stati registrati in Ungheria con un +16,4 per cento, Bulgaria e Lituania.
I salari orari in Germania e Francia, le due maggiori potenze economiche del continente davanti all’Italia, sono aumentati all’incirca del 4 per cento. Da 20,8 euro all’ora a 21,2: questo l’aumento della retribuzione oraria media in Italia nei settori dell’industria, delle costruzioni e dei servizi. Anche sul dato assoluto sotto la media Ue, attestata a 22,9 euro all’ora. Ancora peggio se si guarda alla zona Euro, dove mediamente si guadagna 25,5 euro all’ora.
Poi, sempre secondo i dati Eurostat, le attività economiche che hanno registrato i maggiori incrementi annui nel 2022 sono state “l’estrazione mineraria” (+9,6), seguita da “attività professionali, scientifiche e tecniche” (+6,4), “fornitura di energia elettrica, gas, vapore e condizionamento” e “attività finanziarie e assicurative” (entrambe +5,6 per cento). In ogni caso, dal 1980 al 2017 la popolazione europea, nel suo complesso, ha migliorato le condizioni di partenza, ma sono aumentate le disuguaglianze. L’1% della popolazione più ricca avrebbe visto accrescere il suo reddito due volte più velocemente del 50% della popolazione più povera. Poi, tra il 2019 ed il 2020 i salari medi annuali in Italia hanno registrato un lieve calo, pari al 5,9%.
Se si vuole invertire la rotta urgono politiche volte a potenziare il sistema educativo italiano, incentivare gli investimenti in ricerca e sviluppo da parte del settore pubblico e privato, combattere la corruzione, investire intelligentemente in opere pubbliche che garantiscano un ritorno economico, digitalizzare e rinnovare la Pubblica Amministrazione.