Disturbi alimentari: impennata del 30% con la pandemia, in 3 milioni ne soffrono

I dati diffusi lo scorso 15 marzo, durante la “Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla”, dedicata proprio a questo allarmante fenomeno.

Roma – I disturbi alimentari in continua crescita tra gli adolescenti. Il problema principale è sempre lo stesso: il cibo. Se non c’è, si muore di fame, come accade in molte zone del mondo vittime di carestie. Se c’è ne è in abbondanza e se ne fa cattivo uso, al contrario, produce obesità, anoressia, bulimia e altre gravi patologie. Quest’ultime sono in aumento negli ultimi tre anni, maggiormente tra i giovanissimi. Pare che siano circa tre milioni le persone affette da disturbi alimentari e della nutrizione. I dati sono stati diffusi lo scorso 15 marzo, durante la “Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla”, dedicata proprio ai disturbi alimentari, tra cui sta emergendo a… “furor di popolo” quello da alimentazione incontrollata, il cosiddetto “binge eating” (abbuffata di cibo). Si tratta di un fenomeno di vera e propria sanità pubblica, che coinvolge risorse finanziarie, competenze professionali adeguate e organizzazione dei servizi.

Con la pandemia e il lockdown i casi di vittime di questi disturbi sono cresciuti del 30%. Inoltre, dopo gli incidenti stradali, è la prima causa di morte tra gli adolescenti, che rappresentano il 70% dei pazienti. Negli ultimi 20 anni i casi si sono triplicati al punto che l’Istituto Superiore di Sanità (SSN, organo tecnico-scientifico in materia di salute pubblica), ha attivato un numero verde e una piattaforma dedicata ai centri di cura dei “Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione” (Dna). Inoltre l’Osservatorio sui “Disturbi del comportamento alimentare” (Dca) – nato per offrire un aiuto concreto a chi soffre di disturbi alimentari e alle loro famiglie, nonché di formare i professionisti del settore tramite corsi di formazione dedicati- ha effettuato uno studio secondo cui, quasi l’80% in conflittualità col cibo appartiene al genere femminile.

Gli effetti di chi è affetto da Dca non sono di poco conto, tutt’altro. Si parla di depressione, problemi cardiovascolari e gastrointestinali, osteoporosi, ostacoli alla vita sociale e professionale. Fino a causare morti per arresto cardiaco e suicidi. Le morti sono maggiori dove più scarsa è l’assistenza di strutture specializzate nella cura di queste patologie. Ovviamente, quest’aspetto rende ancora più drammatico il problema di una malattia che, come altre, se presa in tempo, offre più possibilità di successo, anche attraverso un’adeguata prevenzione. Secondo un censimento a cura dell’ISS, non sono tanti (126) i centri multidisciplinari diffusi sul territorio nazionale, la gran parte dei quali sono dislocati al Nord (vatti a sbagliare), per poi calare al Centro e al Sud.

Il dato di fatto incontrovertibile è che i centri sono insufficienti in relazione ai bisogni dei pazienti, che necessitano di terapie adeguate e, nel caso, posti per i ricoveri. I Dca appartengono alle patologie psichiatriche complesse che hanno bisogno di un approccio multidisciplinare, perché gli effetti riguardano varie specialità mediche. Le cure possono durare anni se non tutta la vita. Quindi è necessaria una rete di prevenzione e protezione, seguita da un’informazione efficace volta al riconoscimento della malattia. Il problema più grave emerso -sempre a parere dell’ISS- è la penuria della presa in carico complessiva dei pazienti sul territorio nazionale con gravi danni sulla loro salute e angoscia per le famiglie.

Un welfare state all’altezza di uno Stato civile e democratico dovrebbe offrire le risposte giuste ai bisogni di chi è in difficoltà. Ma con lo smantellamento in corso della sanità pubblica, a festeggiare, oltre agli “squali” di quella privata, saranno… le onoranze funebri!

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa