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viadotto acqualonga

Dieci anni fa la tragedia del viadotto Acqualonga, 40 le vittime

Il 28 luglio 2013 un bus sfonda le barriere dell’A16 e precipita per 30 metri. Il processo d’appello per l’incidente stradale più grave del nostro Bel Paese è ancora in corso.

AVELLINO – Un mezzo spaccato in due. Tra lamiere contorte e parti piegate. Mentre la cabina di guida è completamente distrutta, e i sedili si trovano nella boscaglia. Dopo l’urto  sono stati strappati e proiettati nel bosco.

È questa la scena che si presenta agli occhi dei soccorritori intervenuti il 28 luglio 2013 tra Monteforte Irpino e Baiano dopo un incidente stradale lungo l’autostrada A16 costato la vita a 40 dei 50 passeggeri a bordo del mezzo. Si tratta dell’incidente stradale più grave del nostro paese.

viadotto acqualonga
Il luogo dell’impatto

LA DINAMICA

Il bus era partito da Telese Terme ed era diretto a Napoli. A bordo l’atmosfera era serena, perché i passeggeri si conoscevano, molti erano amici tra loro e avevano preso parte al tour che li aveva portati a Pietrelcina, paese natale di san Pio.

Dopo il casello di Avellino ovest la vita di 40 persone viene stroncata. Il bus si trova sulla carreggiata in direzione Napoli, in un tratto in discesa dove già in passato erano stati registrati diversi incidenti, anche molto gravi.

Qualcosa non va, il bus diventa ingovernabile. Finisce infatti addosso a una serie di autovetture, per poi terminare la sua corsa fuori strada sul viadotto Acqualonga. Sull’asfalto non sono state trovate tracce di frenate, da qui la prima ipotesi sul guasto all’impianto frenante.

Il bus dopo l’impatto con le automobili si trascina lungo la barriera di cemento per poi sfondare il guardrail finendo nella scarpata da un’altezza di 25-30 metri.  Il tratto autostradale tra Avellino Ovest e Baiano in direzione Napoli viene chiuso per diverse ore per consentire i soccorsi.

Una cinquantina le persone a bordo, trentotto muoiono sul colpo, due nei giorni successivi.

viadotto acqualonga
L’immagina del luogo dell’incidente

L’INCHIESTA E IL PROCESSO

Subito dopo l’incidente la procura di Avellino apre un’inchiesta per omicidio colposo plurimo e disastro colposo. Nel mirino finiscono sia il titolare dell’azienda di trasporto (considerato che il mezzo aveva già percorso oltre un milione di chilometri), che i vertici di Aspi, per la mancata sostituzione delle barriere, ormai inadeguate.

Nel processo d’appello, ancora in corso, la Procura ha chiesto la condanna di tutti gli imputati ma sembra che le barriere di protezione, a sentire la deposizione spontanea resa in udienza da Michele Renzi, direttore di Tronco di Autostrade Spa, fossero garantissero uno standard di sicurezza di livello superiore in un tratto che non presentava criticità di sorta. Il resto si vedrà.

Secondo la sentenza di primo grado lo sbandamento del bus sarebbe stato causato da un malfunzionamento dell’impianto frenante, a causa dei danni arrecati da alcune parti della trasmissione del bus separatesi per la rottura di alcuni perni di serraggio.

In primo grado vengono condannati Gennaro Lametta e Antonietta Ceriola a 8 anni di reclusione. Sei anni invece per i dirigenti di Autostrade, Gianluca De Franceschi e Nicola Spadavecchia; Paolo Berti e Gianni Marroni sono stati condannati a 5 anni e 6 mesi.

Cinque anni invece per Michele Renzi e Bruno Gerardi. Assolto l’ex amministratore delegato della concessionaria, Giovanni Castelucci, oltre al dirigente generale di Autostrade, Riccardo Mollo, e i dipendenti Michele Maietta, Massimo Fornaci, Marco Perna e Antonio Sorrentino e Vittorio Saulino della Motorizzazione di Napoli.

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