Da Stellantis a Ilva: il 2024 anno nero dell’industria, 34 tavoli di crisi

Cgil: “118mila lavoratori coinvolti, governo distante dal Paese reale”. Il 2025 non appare più roseo con i sindacati sul piede di guerra.

Roma – Dal caso ex Ilva a Stellantis: il 2024 è stato senza dubbio l’anno della crisi nera per le tute blu. Tra proteste e scioperi, intente a scongiurare licenziamenti e chiusure. E il 2025 non vede – almeno al momento – orizzonti e scenari più rosei. L’industria metalmeccanica è sprofondata nella crisi: nell’ultimo trimestre sfiora una flessione di quasi il 4% sull’anno, le imprese soffrono e la rabbia dei lavoratori sale nelle fabbriche divorate dal fantasma della chiusura. Il riflesso di questo specchio opaco sono i tanti tavoli di crisi attivi al ministero delle Imprese e del Made in Italy. Sono 34 in tutto – in monitoraggio 26 – ma solo tra Ilva e Stellantis – che ora iniziano a contendersi il titolo di ‘madre di tutte le vertenze – si contano 12mila cassaintegrati.

“Le mancate politiche industriali del Governo Meloni, al di là degli annunci propagandistici di questo o quel ministro, dimostrano la distanza dal Paese reale e il totale disimpegno dell’Esecutivo sul tema della crisi dell’industria italiana, che ormai è al palo da quasi due anni”. Pino Gesmundo – il segretario confederale Cgil a capo dell’area delle politiche industriali – presenta così all’ANSA i dati del sindacato sui lavoratori coinvolti dai tavoli di crisi, raddoppiati in un anno. Con un “tessuto industriale impoverito”, avverte, servono “scelte diverse delle imprese e dei governi”. Nel 2024 “sono enormemente aumentati i tavoli presso l’unità di crisi al Mimit: sono 105.974 i lavoratori coinvolti. A gennaio erano 58.026”.

Negli stabilimenti di Stellantis

Da automotive a chimica, moda, carta, energia: è “uno scenario sconfortante, che rischia di essere aggravato” quello che la Cgil – come l’ANSA può anticipare – delinea aggiornando i dati a fine anno. “Si aggiungono, come censito nel ‘diario delle crisi’ di Collettiva.it, 12.336 addetti di piccole e medie aziende che hanno perso il lavoro, vertenze che non sono neppure arrivate alle istituzioni”. Complessivamente “sono 118.310 quelli che hanno già perso il lavoro o che annaspano nei tavoli. “Negli ultimi tre decenni – rileva il segretario confederale Cgil che ha la delega su politiche industriali e energetiche, infrastrutture e trasporti, aree di crisi – a guidare le scelte industriali sono state le multinazionali e i fondi speculativi, che hanno fatto shopping di imprese nel nostro Paese, spesso a basso costo e usufruendo di benefici ed agevolazioni governative, con il totale disimpegno della politica e dello Stato”.

Stellantis e Ilva sono i volti noti della crisi. Per Stellantis il 2024 si chiuderà con un record negativo che non si vedeva dagli anni ’50: meno di 500mila veicoli prodotti, di questi le auto sono sotto le 300mila unità. Tutti gli stabilimenti sono in negativo, ci sono oltre la metà dei lavoratori – 18mila su 33mila totali – che usufruiscono di ammortizzatori sociali, la metà è in cassa integrazione e negli ultimi 3 anni ci sono state 12mila uscite incentivate. Le vendite calano a picco: a novembre il gruppo ha venduto 30mila vetture, il 25% in meno dell’anno scorso; la quota di mercato scivola dal 29,3 al 24,7%. Una crisi nera, che colpisce soprattutto l’elettrico, in uno scenario europeo dove l’Italia scivola sempre di più. L’obiettivo fissato un anno fa al ministero delle Imprese e del Made in Italy, quando l’ormai ex ad Carlos Tavares e il ministro Adolfo Urso parlavano di un aumento produttivo di 1 milione di veicoli, sembra una chimera.

La situazione per l’ex Ilva non è migliore. A novembre la Sezione crisi d’impresa del Tribunale di Milano ha dichiarato lo stato di insolvenza di Acciaierie d’Italia Holding S.pA, già posta in amministrazione straordinaria nella primavera scorsa dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy. All’esito del procedimento intentato dai commissari di AdI in As, al quale hanno preso parte anche il socio privato Ancelormittal Italy Holding S.rl. e il socio pubblico Invitalia S.p.A., “è stato accertato – anche con l’ausilio di un supporto consulenziale – uno squilibrio finanziario di quasi 1 miliardo di euro, di composizione eterogenea, per lo più riconducibile a debiti verso i soci, verso professionisti e fornitori”. La verifica di stato passivo è stata fissata davanti al giudice delegato della procedura, Laura De Simone, per il 5 marzo 2025.

In generale, le crisi alimentano lo scontro della trattativa sul rinnovo del contratto di 1,6 milioni di lavoratori che non parte. Il 2024 si è chiuso con il tavolo con le imprese ‘rotto’ e scioperi territoriali a tappeto fino al 15 gennaio. A quel punto, si dovrebbe tornare al confronto. Sul rinnovo sono tutti d’accordo: lo vogliono i datori, lo vogliono le tute blu, ma sulla base di partenza la tensione è ancora alle stelle. Da un lato i sindacati rivendicano le richieste nella piattaforma unitaria tra cui – i nodi principali – l’aumento di 280 euro in busta paga e la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Dall’altro, Federmeccanica e Assistal continuano a ribadire che quelle istanze non sono fattibili, tornando alla carica con la loro controproposta che, ribadiscono, ”è equa e manda un messaggio chiaro: il rinnovo va calato nel contesto attuale”.

Ma il quadro è a tinte fosche. Le “imprese soffrono e i dati sul 2025 sono una sentenza: sarà un anno difficilissimo. Ogni trimestre è sempre peggio”, spiega il direttore generale di Federmeccanica, Stefano Franchi, parlando con l’Adnkronos. A fronte di questi ”scenari foschi” gli industriali hanno fatto la loro contro-offerta: no all’aumento, sì all’adeguamento dei minimi tabellari all’inflazione Ipca al netto dei beni energetici importati e alla redistribuzione dei profitti dove non siano già previsti i premi di risultato, valorizzazione della continuità professionale e più welfare (tra cui i flexible benefits o l’assistenza sanitaria e la previdenza complementare per giovani e donne). Ma i sindacati non arretrano: si negozia sulla piattaforma unitaria, quella votata dai lavoratori, è il coro unanime di Fiom, Fim e Uilm, che rigettano anche la tesi delle
aziende troppo sofferenti.

Intanto, il rinnovo del contratto nazionale è ancora al palo, in attesa che – dopo gli scioperi proclamati da Fiom, Fim e Uilm di fronte al naufragio della prima trattativa con Federmeccanica e Assistal – si torni al
tavolo del negoziato, inerpicato già su una strada in salita. A certificare lo stato di profonda debolezza dell’industria, è l’ultima indagine congiunturale di Federmeccanica: dalla metallurgia al –2% rispetto ai primi nove mesi del 2023 al -3,6% dei prodotti in metallo, fino al crollo tendenziale (quasi -20% sull’anno) di
autoveicoli e rimorchi. Numeri che si specchiano plasticamente nei dati raccolti da un’indagine a cura della Fiom, con gli operai dell’automotive e della siderurgia al ‘primo posto’ tra quelli coinvolti in ammortizzatori sociali: 20mila per l’auto (di cui 18mila in Stellantis) e oltre 8mila nell’acciaio.

E infine l’allarme della Cgil che si fonda sullo “scenario sconfortante” che emerge dai dati aggiornati a fine anno, del sindacato, sul numero dei lavoratori coinvolti dai tavoli sulle crisi di industria aperti al ministero delle Imprese, saliti in un anno da 58.026 a 105.974. Un numero che sale a 118.310 considerando “12.336 addetti di piccole e medie aziende che hanno perso il lavoro per vertenze che non sono neppure arrivate alle istituzioni”. “Così – evidenzia Gesmundo – il nostro tessuto industriale è stato via via impoverito ed è oggi più che mai impreparato alle sfide globali, imposte dalla situazione geopolitica, e alla necessaria transizione ambientale e produttiva che – senza scelte diverse delle imprese e dei governi – rischia di essere pagata solo dalle lavoratrici e dai lavoratori”. 

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