Mentre a Palermo l’arringa di Giulia Bongiorno smonta le accuse su Salvini, al Cpr di Gjader c’è la staffetta dei politici di opposizione.
Roma – La questione migranti tra il processo Open Arms a Matteo Salvini e la polemica delle opposizioni sui centri in Albania bollati come “lager” catalizza tutta la politica di questi giorni. In più si aggiunge il fatto che sia stata respinta la richiesta d’asilo per i 12 migranti egiziani e bengalesi chiusi nel centro italiano di Gjader, in Albania. Ora è attesa la pronuncia del tribunale civile di Roma sul trattenimento stesso. Mentre a Palermo l’arringa della difesa del leader della Lega rappresentata dalla regina del Foro Giulia Bongiorno infiamma il dibattito, dall’altra parte sulle sponde di Tirana i parlamentari del Pd e di Più Europa hanno deciso di fare una staffetta alla quale partecipano le opposizioni per tenere i fari accesi su una operazione che per i partiti di centrosinistra “è una costosa propaganda sulla pelle dei più deboli”.
Mura di cinta alte cinque metri, filo spinato e sbarre alle finestre: “Sembra un lager”, dice Riccardo
Magi dopo cinque ore di visita all’interno del Centro di permanenza e rimpatrio di Gjader, in Albania. E’ il primo giro di una staffetta che vede in prima linea, assieme al segretario di Più Europa, il deputato del Pd e segretario di Demos, Paolo Ciani, e la deputata Pd Rachele Scarpa, che cederà il passo a Francesca Ghirra e Cecilia Strada. “Siamo tutti mobilitati per non mollare la presa”, ha detto Marta Bonafoni, coordinatrice della segreteria Pd: “E’ una situazione vergognosa, ci saranno sempre esponenti delle istituzioni lì”. Tutto avviene nelle stesse ore in cui la premier porta l’accordo con l’Albania al Consiglio Europeo “sottolineandone il ruolo nell’azione di contrasto ai trafficanti di esseri umani”.
C’è anche il plauso dei premier Olandese, Dick Schoof – “guardiamo con interesse” all’accordo – e Ungherese, Viktor Orban: “Un buon accordo, congratulazioni”. Di avviso opposto è l’opposizione italiana, a cominciare dai tre deputati in terra albanese: “Entrando, avevo espresso giudizi molto pesanti e, dopo aver visto questi luoghi li confermo in pieno”, spiega Magi: “Se possibile le appesantisco: questo luogo ha tutte le sembianze di un lager. Credo che la parte migliore sia la sezione penitenziaria, e con questo dico tutto, nel senso che è
la parte in cui almeno vige un regolamento, che è il regolamento penitenziario” italiano. “Ci sono enormi punti oscuri nelle procedure seguite, secondo noi”, aggiunge il deputato spiegando di non avere avuto risposte “dalla vice prefetta, dalla questura e dagli altri attori all’interno del centro. Non abbiamo trovato
risposte di chiarezza nelle procedure seguite. Questo pre-screening in alto mare avverrebbe con una cernita che evidentemente non funziona”.
Dubbio speculare a quello di Rachele Scarpa: “Abbiamo avuto modo di parlare con alcuni dei trattenuti e ci hanno raccontato una metodologia molto dubbia di screening. Una delle domande che abbiamo fatto è come si può valutare in mare le fragilità delle persone? Questo nostro timore ha trovato conferma. Al largo di Lampedusa è avvenuto un pre-screening, chiedendo soltanto se le persone erano in salute oppure no, se avevano i documenti oppure no. Non c’è alcuna certezza sulla compatibilità di un viaggio così lungo e della
permanenza nel Cpr con persone minori o fragili. Chi viene portato qui è sostanzialmente una cavia del governo”, spiega la dem convinta che, per questa ragione, “anche le altre 12 persone”, dopo i quattro riportati in Italia nelle scorse ore, “non avranno la convalida e saranno riportate indietro”.
E l’atmosfera si infiamma ancora di più alla notizia che è stata respinta la richiesta d’asilo per i 12 migranti egiziani e bengalesi chiusi nel centro italiano di Gjader, in Albania. Ora è attesa la pronuncia del tribunale
civile di Roma sul trattenimento stesso. Rachele Scarpa, deputata del Partito democratico parte della
missione di monitoraggio organizzata con Tavolo asilo commenta per l’agenzia Dire: “Una rapidità delle procedure inedita e forse che non vedremo più; noi resteremo qui ad aspettare la seconda decisione e a vigilare il destino di questi 12 ragazzi”. A determinare la sentenza di rigetto dell’asilo forse il fatto che i migranti arrivino da Egitto e Bangladesh, Paesi che l’Italia ha inserito nella lista di quelli sicuri. Sul punto la deputata Scarpa dice: “La sentenza della Corte di giustizia europea è stata chiara e fa scuola”.
Il riferimento è a una decisione di qualche settimana fa. La deputata ricorda che la Corte ha stabilito che, a prescindere dal fatto che lo Stato riconosca quel Paese sicuro o meno, il rimpatrio si valuta caso per caso. Difficile per Scarpa pensare che l’Egitto possa essere “sicuro” per uno dei giovani che ha raccontato di essere fuggito dal servizio militare obbligatorio. Condividono la posizione della deputata la collega Francesca Ghirra, di Alleanza verdi e sinistra (Avs), Tommaso Notarianni, per il Tavolo asilo e immigrazione, e i due mediatori culturali di Tavolo Asilo appena usciti da una ispezione nel centro di trattenimento di Gjader.
“La velocità e fretta nella procedura accelerata sulle richieste d’asilo è sospetta e non è compatibile con la sentenza della Corte” evidenziano. “Inoltre i migranti ci hanno segnalato che al momento di essere trasferiti sulla nave Libra hanno incontrato difficoltà d’accesso al diritto alla difesa e alla giusta informazione. Anche la selezione di chi mandare qui e chi portare in Italia per noi è stata sbrigativa e arbitraria”.
Ma il punto più grave, per Magi, riguarda il momento del salvataggio da parte delle autorità italiane. Perché, stando ai racconti che sono stati fatti dai migranti portati in Albania, il rintraccio e salvataggio potrebbe essere avvenuto in acque italiane e non internazionali: “Chiederemo i tracciati dei percorsi delle imbarcazioni che hanno portato a questi rintracci”, spiega Magi: “Secondo le testimonianze, il rintraccio e il salvataggio sarebbe avvenuto in una posizione molto ravvicinata alle coste di Lampedusa e quindi non in acque internazionali. Questo è il punto più delicato, sensibile e anche più grave. Ci sono versioni diverse ma che meritano tutta l’attenzione degli organi di informazione”.
La polemica delle opposizioni era iniziata dopo la prima partenza della nave di migranti giunta nei centri dell’Albania grazie al Protocollo Roma-Tirana. Ma era stata subito spenta dal ministro dell’Interno, che ha portato avanti il progetto. La deputata di Avs, Elisabetta Piccolotti, sui social network pubblicando il video
della nave militare italiana in arrivo sulle coste albanesi aveva polemizzato: “Le vedete? Sono 7 delle 16 persone deportate, esposte come un trofeo a prua di una nave da guerra. In questa immagine c’è tutto: cinismo, propaganda, sprezzo dei diritti umani. Il costo dell’operazione è stato 250 mila euro circa. Per 16 persone”. Ma oltre alle invettive sull’esposizione degli immigrati come “trofei”, si sono messe in discussione anche le procedure di appalto per quei centri.
Procedure che, ha chiarito Matteo Piantedosi durante il question time “sono regolate dalla legge di ratifica del relativo Protocollo. È quella legge che ha affidato al Genio militare la competenza per la progettazione e l’esecuzione dei lavori, nonché per l’acquisizione delle forniture necessarie per la realizzazione delle strutture, prevedendo la possibilità di svolgere procedure d’appalto in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale. Sottolineo che, in ogni caso, è stato fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’UE”. Sul rischio di infiltrazioni criminali nella costruzione dei centri per i migranti il “Ministero della Difesa – aggiunge il ministro – ha rappresentato che la Direzione tecnica competente, in linea con le previsioni legislative, ha effettuato tutti i controlli, coniugando l’inderogabilità delle disposizioni antimafia con la salvaguardia della celerità delle procedure”.
Lo stesso Dicastero, aveva detto ancora Piantedosi, “ha anche precisato che vi è stato un unico operatore economico selezionato, a cui sono stati affidati lavori relativi alle opere edili ed agli impianti ordinari, che risulta avere la propria sede in Albania. Tale impresa è stata sottoposta alle verifiche e ai controlli tramite la Banca Dati Nazionale Antimafia e l’Ambasciata di Italia in Albania ha, altresì, interessato la Polizia Albanese e la SPAK, struttura speciale contro la corruzione e la criminalità organizzata, le quali hanno riferito che, nell’ambito delle attività da loro condotte, non sono emerse criticità, nei confronti dei soci ed amministratori della predetta impresa. Gli altri operatori economici, con sede in Italia, sono stati sottoposti a verifica con esito negativo, mediante la Banca Dati Nazionale o tramite le white list delle Prefetture, riportanti l’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa”.
Poi l’attacco frontale della premier Meloni alla Ong tedesca Sea Watch, nel corso delle comunicazioni in Senato in vista del Consiglio Ue e dopo che l’organizzazione non governativa ha accusato il governo di spendere “centinaia di milioni di euro dei contribuenti per deportare e incarcerare qualche migliaia di migranti in Albania”. La presidente del Consiglio ha sferrato la replica: “Considero vergognoso che Sea Watch definisca le guardie costiere ‘i veri trafficanti di uomini’, volendo delegittimare tutte quelle degli Stati del nord Africa, e magari anche quella italiana, in modo da dare via libera agli scafisti che questa Ong descrive invece come innocenti, che si sarebbero ritrovati casualmente a guidare imbarcazioni piene di immigrati illegali. Sono dichiarazioni indegne, che gettano la maschera sul ruolo giocato da alcune Ong e sulle responsabilità di chi le finanzia”.
Infine oggi, l’epilogo della lunga querelle governo-Ong con il caso Open Arms: “Non fecero un’operazione di soccorso, ma una consegna concordata”. La difesa di Salvini punta a portare l’Organizzazione non governativa sul banco degli imputati, adombrando contatti illeciti fra Open Arms e i trafficanti di uomini. “Dobbiamo uscire dalla logica dei soli diritti, una cosa è il diritto, una cosa è la pretesa. Il diritto allo sbarco non si discute, ma non si può scegliere dove, come, con chi, quando”, ha attaccato Giulia Bongiorno, che aggiunge “C’è un video che rende chiara la situazione: siamo il 20 agosto a bordo della Open Arms: sono tutti felici non perché sbarcano, ma perché è caduto il ministro Salvini. Nel video si sente un commento in spagnolo sul motivo della gioia. A farlo è l’odierna parte civile Oscar Camp”.