Nuove analisi su un’intercettazione dell’epoca, grazie anche al costante e amorevole impegno della famiglia della vittima, potrebbero portare ad una svolta concreta qualora le indagini venissero riaperte. Una vicenda dai troppi buchi neri.
Cesena – Un’intercettazione telefonica potrebbe dare una svolta al caso della scomparsa di Cristina Golinucci, 21 anni, ragioniera, la ragazza di Ronta di Cesena sparita come un fantasma il 1 settembre del 1992. Un frate, deceduto anni addietro, avrebbe raccontato una versione dei fatti non veritiera ma le dichiarazioni di un testimone, già all’epoca agli inizi della vicenda, avevano suscitato dubbi e perplessità sulla ricostruzione degli eventi resa agli inquirenti dal Priore del Convento dei Cappuccini dove Cristina era solita recarsi dopo il lavoro.
Il legale della famiglia, l’avvocato Barbara Iannuccelli, ha depositato un esposto presso la Procura di Cesena finalizzato alla riapertura delle indagini con un fatto nuovo che riguarda la trascrizione di una intercettazione tra padre Lino Ruscelli, reggente del monastero dei Cappuccini, col quale la ragazza si sarebbe dovuta incontrare il giorno della scomparsa, ed Emanuel Boke, il manovale trentenne di origine africana che era ospite della stessa struttura, già sospettato in passato di essere responsabile della sparizione della giovane e poi finito in carcere per stupro e tentato stupro di due ragazze. E poi tornato in libertà per fine pena nel 1998. Dopo questa data Boke sarebbe tornato nel suo Paese che, però, pare non fosse il Ghana come l’uomo avrebbe sempre sostenuto.
Cristina scompare nel pomeriggio di un giorno qualunque lasciando la sua Fiat 500 azzurra nel parcheggio del cenobio francescano ubicato nell’omonima via. La giovane aveva diverse commissioni da fare fra cui un colloquio di lavoro che le avrebbe garantito un posto sicuro. Cristina si reca da don Lino, suo padre spirituale, e poi si dilegua inghiottita dal nulla.
I genitori, in particolare la madre, Marisa Degli Angeli, 76 anni, iniziano a cercarla dappertutto senza successo sino a quando ritrovano l’auto della figlia parcheggiata davanti al cenobio:
”…Sono convinta che il convento sia la tomba di mia figlia Cristina – sostiene da sempre Marisa – e continuerò a gridarlo finché non avrò risposte precise e non saprò la verità. Credo che sia stato proprio Emanuel Boke a uccidere Cristina per poi nasconderne il corpo. Vedendo che la giustizia non riusciva a darci risposte, quando Boke era ancora in carcere, decisi di scrivergli, esprimendogli il mio desiderio di incontrarlo. Così grazie anche all’aiuto della Caritas, riuscii ad avere un colloquio con lui, durante il quale l’operaio continuò a difendersi, dichiarando di non essere lui il colpevole, ma lasciandoci comunque con molti dubbi. Da allora, non ho avuto più notizie di lui e la verità sulla sorte di Cristina è ancora un mistero. Adesso però qualcosa potrebbe cambiare…”.
Lo stesso don Lino, successivamente, avrebbe riferito agli inquirenti di una confessione di Boke che asseriva di aver violentato e ucciso Cristina. Il manovale, interrogato, negava di aver riferito al sacerdote del duplice delitto e la vicenda, stranamente, non veniva approfondita ma rimessa nel cassetto a seguito di una prima archiviazione.
Cinque anni dopo don Lino autorizzava l’ispezione del convento e della cripta ma la polizia di Cesena non rinveniva nulla di utile e la sparizione di Cristina finiva di nuovo nel faldone dei casi insoluti:
”…Il colloquio tra il frate e Boke, la cui trascrizione è in atti e risale al 12 dicembre 1995 – aggiunge l’avvocato Iannuccelli – veniva intercettato perché padre Lino era andato in Questura a riferire che Boke aveva confessato l’assassinio di Cristina. A verbale infatti veniva scritto che il manovale africano confessava al frate di come si fosse comportato da bestia chiedendo poi perdono a Dio. Ecco perché si era deciso di intercettare un successivo colloquio, nella speranza che Boke dicesse la stessa cosa. Sarebbe stata una confessione piena…”.
Nella trascrizione dell’incontro, depositata nell’aprile 1996, veniva riportata una frase: “…Ma tu non mi sembri tanto convinto…”. Secondo una nuova analisi della registrazione, effettuata dal professor Giampiero Benedetti, la frase esatta avrebbe un contenuto assai diverso: ”…Ma tu non sei mica andato in convento…”. A pronunciare queste parole sarebbe stato il frate rivolto a Boke. Trent’anni di alibi verrebbero meno, secondo Barbara Iannuccelli.