HOME | LA REDAZIONE

Crescono gli occupati ma “il piatto piange”, colpa dei salari che restano bloccati

Servirebbe una sorta di “New Deal”, come quello promosso da Roosevelt negli Usa, che creò le basi del “welfare state”.

Roma – Sono cresciuti gli occupati, ma i salari restano bloccati. E’ proprio vero che il nostro è un Paese particolare, certi fenomeni possano accadere solo in Italia. E’ uno strano controsenso tipico della nostra bizzarria. E’, infatti, cresciuto il numero degli occupati, ma i salari e gli stipendi restano al palo. Si tratta di lavoratori sotto pagati, donne, cinquantenni e oltre, che qualche tempo fa sarebbero restati in una posizione di confine. Ma questi, seppur, lievi miglioramenti sono stati annullati dall’inflazione che, spavalda, è cresciuta più degli emolumenti.

La crescita dell’occupazione è stata accolta dalla maggioranza di governo con grida di giubilo, tra squilli di tromba e fanfare, a sottolineare che grazie al loro intervento l’Italia sta cambiando passo. Si, ma…per finire in fondo al burrone! Se, infatti, si guardano i redditi reali, che incidono sulla vita di intere famiglie, ci si rende conto che il “piatto piange”. E’ capitato anche in alcuni periodi che il reddito a disposizione sia aumentato, ma a spese del risparmio, quindi si tratta di una crescita “drogata”. Inoltre, questa situazione smentisce le analisi degli economisti, secondo cui quando più persone lavorano, si verifica una crescita dei salari e, quindi dei consumi.

Ma adesso, pare sia successo qualcosa di non previsto. Dopo la pandemia, si è verificato un dislivello rilevante tra il mercato del lavoro e i redditi, provocando un dominio del primo e un immobilismo del secondo. Secondo gli esperti dell’Istat (Istituto Nazionale di Statistica), un motivo riguarda l’età. Ad essere avvantaggiati non sono stati certo i giovani, tanto che in questa fascia d’età i redditi… preferiscono rimanere quelli della grande crisi del 2008/2009. Come si ricorderà si trattò di una crisi finanziaria mondiale segnata da una crisi di liquidità e talvolta da crisi di solvibilità sia a livello di banche e Stati, sia da una scarsità di credito alle imprese.

Il fattore scatenante fu il sistema dei mutui negli USA, in particolare quelli di bassa qualità, i cosiddetti “mutui subprime”, che venivano offerti a chiunque li richiedesse, senza coperture e garanzie. Nella crescita occupazionale tanto strombazzata, a subire i danni maggiori, ancora una volta sono stati i giovani. Infatti, hanno trovato lavoro per andare a ingrossare l’esercito della classe lavoratrice povera (working poor). Se poi si guarda allo stato patrimoniale delle famiglie, emerge che, a differenza dei primi anni 2000, ma anche del decennio passato, ha subito una… dura cura dimagrante, rispetto a più pasciuti inglesi, tedeschi e francesi. E’ crollato, quindi, l’ennesimo mito su cui si fondava la ricchezza privata, che veniva manipolato in maniera utilitaristica per contrastare le critiche sull’elevato debito pubblico del nostro Paese.

Ora di questo passo si comprende come la classe media lavoratrice sia sulla strada di un inarrestabile declino accelerato. La soluzione sarebbe una sorta di “New Deal” (nuovo patto). Com’è noto si tratta del grande piano di riforme economiche e sociali promosso dal presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt tra il 1933 e il 1943, per risollevare le sorti del Paese dalla grande depressione che aveva travolto gli USA a partire dal 1929. Il New Deal gettò, anche, le basi del “welfare state”, un sistema in cui lo Stato assicurava alla popolazione dei diritti fondamentali come l’assistenza e la vita dignitosa in caso di disoccupazione o vecchiaia. Nella nostra scalcinata nazione la classe politica è formata, purtroppo, solo da guitti e saltimbanchi ed un progetto del genere non risiede nemmeno nella sua anticamera del cervello. Eppure basterebbe una serio progetto contro l’evasione fiscale e retributiva, una efficace lotta alla corruzione e allo sperpero di denaro pubblico, per fare investimenti pubblici, a vantaggio del lavoro e della piccola impresa!

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa