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Covid-19: uno studio rivela la potenza dell’immunità naturale

Uno studio pubblicato dal The Lancet Medical Journal rivela che contrarre l’infezione da COVID-19 mette al riparo da rischi “gravi” come minimo per 10 mesi e l’efficacia della naturale immunità “ufficialmente” pareggia, ma in realtà supera quella dei vaccini.

Milano – Da gennaio 2021, diversi studi e revisioni hanno misurato l’efficacia del contagio da COVID-19 nel ridurre il rischio di reinfezione e il modo in cui l’immunità diminuisce nel tempo. Ma nessuno ha valutato in modo esauriente quanto durerà la protezione dopo l’infezione naturale e quanto sarà duratura tale protezione contro le diverse varianti che, al netto di inutili scaramanzie, non tarderanno a palesarsi.

A colmare tale lacuna ci hanno pensato i ricercatori dell’Institute for Health Metrics and Evaluation COVID-19 Forecasting Team. Il loro studio contiene la più ampia revisione di dati disponibili sulla malattia. Lo studio, pubblicato su The Lancet, è una meta-analisi che esamina 65 studi provenienti da 19 Paesi. Ha rilevato che per le persone infettate da COVID-19 almeno una volta, l’immunità naturale riduce i rischi di ospedalizzazione e morte dell’88% per almeno 10 mesi. Ciò rende l’immunità naturale almeno pari, ma verosimilmente superiore a 2 dosi di vaccini Pfizer o Moderna.

Per la protezione immunitaria naturale da varianti pre-Omicron lo studio evidenzia come sia ridotta rispetto alla reinfezione con Omicron BA.1 (36% a 10 mesi dopo l’infezione). “C’è una protezione piuttosto lunga e sostenuta contro malattie gravi e morte, quasi il 90% a 10 mesi. È molto meglio di quanto mi aspettassi, è una buona cosa per il mondo. Significa che c’è un sacco di immunità in giro” ha detto il dott. Chris Murray, direttore dell’Institute for Health Metrics and Evaluation dell’Università di Washington.

I test rapidi sono stati molto utilizzati in tutto il mondo.

A differenza di altre infezioni virali come morbillo o varicella, la protezione da COVID-19 non dura per sempre, quindi anche le persone che hanno l’immunità naturale avranno probabilmente ancora bisogno di un richiamo annuale di COVID-19. Ma grazie all’immunità naturale, che copre un lungo periodo di tempo, le persone non hanno bisogno di farsi un’iniezione più spesso di una volta all’anno” ha proseguito Murray.

Alla luce di questi dati, siamo certi che ai più diabolici verrebbe quasi in mente di contagiarsi di proposito. A loro risponde la dottoressa Claudia Hoyen, specialista in malattie infettive all’ospedale di Cleveland:

“Non sappiamo mai a cosa stiamo preparando le persone uscendo e contraendo una malattia. È sempre più sicuro vaccinarsi che ammalarsi. Più alto è il livello di immunità generale in una popolazione, meno è probabile che possa svilupparsi una variante ancora più pericolosa”.

L’analisi suggerisce inoltre che il tenore e la durata della protezione contro la reinfezione, la malattia sintomatica e la malattia grave sono almeno pari a quella fornita da 2 dosi dei vaccini a mRNA (Moderna, Pfizer-BioNtech) per l’infezione originaria e per quelle che si sono susseguite nei mesi: Alpha, Delta e Omicron Varianti BA.1.La vaccinazione è il modo più sicuro per acquisire l’immunità, mentre l’acquisizione dell’immunità naturale deve essere soppesata rispetto ai rischi di malattia grave e morte associati all’infezione” ha affermato l’autore principale dello studio, il dott. Stephen Lim dell’IHME presso la School of Medicine dell’Università di Washington. Gli fa eco la dott.ssa Caroline Stein:

“I vaccini continuano a essere importanti per tutti al fine di proteggere le popolazioni ad alto rischio come quelle che hanno più di 60 anni e quelle con comorbidità. Ciò include anche popolazioni che non sono state precedentemente infettate e gruppi non vaccinati, nonché coloro che sono stati infettati o hanno ricevuto l’ultima dose di vaccino più di 6 mesi fa. I responsabili delle decisioni dovrebbero prendere in considerazione sia i vaccini sia  l’immunità naturale”.

Gli anziani sono le persone più fragili al cospetto del COVID-19.

L’immunità svanisce nel tempo

Soffermandosi sulle tempistiche, l’analisi dei dati di 21 studi che si sono soffermati sul periodo trascorso dall’infezione da una variante pre-Omicron, ha stimato che la protezione a 1 mese contro una nuova infezione da una variante precedente era di circa l’85% e questa è scesa a circa il 79% a 10 mesi. La protezione da un’infezione da una variante precedente contro la reinfezione dalla variante Omicron BA.1 era inferiore (74% a un mese) e diminuiva più rapidamente al 36% a circa 10 mesi.
Tuttavia, l’analisi di 5 studi che riportavano malattie gravi (ospedalizzazione e morte) ha rilevato che la protezione è rimasta universalmente elevata per 10 mesi: 90% per l’infezione ancestrale, Alpha e Delta e 88% per Omicron BA.1.
Sono 6 gli studi che hanno valutato la protezione contro le derivate di Omicron (BA.2 e BA.4/BA.5). Hanno rilevato una protezione significativamente ridotta quando l’infezione precedente era una variante pre-Omicron. Ma quando l’infezione passata era Omicron, la protezione è stata mantenuta a un livello superiore.

I dati limitati che abbiamo sulla protezione dell’immunità naturale dalla variante Omicron e dai suoi sottotipi sottolineano l’importanza di una valutazione continua. Si stima che abbiano infettato il 46% della popolazione mondiale tra novembre 2021 e giugno 2022. Ulteriori ricerche sono necessarie anche per valutare l’immunità naturale delle varianti emergenti e per esaminare la protezione fornita dalle combinazioni di vaccinazione e infezione naturale” ha affermato il coautore dello studio, il dott. Hasan Nassereldine.

I dati africani sul COVID-19 sono spesso parziali.

Confini dello studio

Gli stessi autori denunciano però alcune limitazioni del loro studio. Precisano infatti che i dati disponibili che esaminano la variante Omicron BA.1 e le sue derivate e quelli provenienti dall’Africa erano più rarefatti. La professoressa Cheryl Cohen, Istituto nazionale sudafricano per le malattie trasmissibili, ha spiegato:
“I livelli elevati e sostenuti di protezione conferiti da precedenti infezioni contro malattie gravi hanno importanti implicazioni per la politica sui vaccini. A settembre 2021, la sieroprevalenza (numero di persone positive al virus, ndr) globale di SARS CoV-2 era stimata al 59%. Con differenze sostanziali nella percentuale di immunità indotta dall’infezione o dalla vaccinazione in contesti diversi. La sieroprevalenza in Africa è stata stimata all’87% nel dicembre 2021, in gran parte a causa dell’infezione. Alti livelli di immunità contribuiscono in modo importante ai livelli più bassi di gravità osservati con l’infezione causata dalle varianti emergenti di Omicron”.
L’immunità ibrida gioca un ruolo determinante nella lotta al COVID-19.

L’immunità “ibrida”

A corredo del lavoro pubblicato su Lancet, vale la pena riportare un recente studio condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Questo ha rilevato che l’immunità ibrida – il mix di protezione fornito dalla vaccinazione Covid-19 e dall’infezione stessa – offre il più alto livello di protezione. È risultato efficace al 97% nel prevenire ospedalizzazione e forma grave tra le persone vaccinate un anno dopo la loro infezione o vaccinazione più recente. È stato anche rilevato che per coloro che avevano un’infezione precedente e nessuna vaccinazione, l’efficacia contro il ricovero e le malattie gravi era quasi del 75% all’anno, mentre la protezione contro le infezioni era inferiore al 25%.

La nostra preoccupazione è per una nuova variante che abbia una fuga immunitaria come aveva Omicron sulle varianti precedenti. Alla gente piace sperare che l’evoluzione del virus porti a forme meno gravi, ma questa non è una garanzia. Quindi dobbiamo solo rimanere vigili per la possibilità di una variante diversa” ha concluso il dottor Murray.

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