Dai finanziamenti per i Paesi in via di sviluppo alla presenza delle lobby del petrolio, la Conferenza sul Clima 2024 ha evidenziato ancora troppe contraddizioni.
Ogni anno si svolge la COP, Conference of Parties, la riunione annuale dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC). Quest’anno si è svolta la 29ma edizione a Baku, in Azerbaigian, dall’11 al 22 novembre 2024. Questi eventi vengono spesso presentati in maniera pomposa con fiumi di parole retoriche e solenni, ma alla fine i risultati sono di basso profilo.
Quest’anno è stato ratificato l’accordo da parte dei Paesi ricchi di investire 300 miliardi di dollari annui per finanziare la transizione energetica e l’adattamento ai cambiamenti climatici dei Paesi in via di sviluppo fino al 2035. I negoziatori si sono mostrati molto soddisfatti, mentre i Paesi in via di sviluppo si sono lamentati che si tratta solo di un contentino, ma non risolve i problemi di fondo. Se non c’è la partecipazione dei maggiori Paesi, il PIL (Prodotto Interno Lordo) può ridursi dal 10 al 15% entro il 2100. E’ quanto ha affermato lo studio “Perché investire nell’azione per il clima ha un buon senso economico”, a cura di Boston Consulting Group (BCG), Cambridge Judge Business School e il Cambridge ClimaTRACES Lab. La prima è una delle più importanti società di consulenza strategica con sede negli USA e filiali in 50 Paesi; la seconda è una delle più prestigiose Università di Business del Regno Unito; il terzo è un’iniziativa di ricerca interdisciplinare dell’Università di Cambridge incentrata sulla ricerca in materia di clima.
Il rapporto è stato diffuso prima che iniziasse la COP29. Lo studio è incentrato su due ipotesi. Se i livelli di investimenti per mitigare il cambiamento climatico restassero come quello attuale, ci troveremmo con una crescita della temperatura di oltre 3°C entro il 2100, mentre con investimenti mirati a meno di 2°C. Ma se gli studiosi fanno ricerche, a Baku c’era un affollamento di lobbysti del petrolio molto più numerosi dei rappresentanti dei Paesi colpiti dalla crisi climatica. Pare che dal Giappone sia giunto un consistente gruppo di delegati del gigante del carbone Sumitomo. Dal Canada Tourmaline Oil Corp, il più grande produttore di gas del Paese. C’è poco da stupirsi di queste presenze, se il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, ha definito il petrolio “un dono di Dio”! Quindi la crisi climatica è solo a parole, in pratica si continua quasi come prima. Anche la presenza italiana è stata notata. Pare che i portavoce di Edison, Italgas, Enel e Eni, si aggiravano con fare furtivo e circospetto tra i corridoi della grande kermesse.
Non potevano mancare i rappresentanti dell’agri-business (fertilizzanti e pesticidi), della grande finanza e dei trasporti. Presenti anche le big del digitale. Secondo Transparency International (TI), un’organizzazione internazionale non governativa che si occupa della corruzione non solo politica, la rete di influenza delle lobbies, anche quelle corrotte, riesce a sfuggire ai controlli. Infatti almeno il 20% di aggregati alle delegazioni non ha dichiarato la propria affiliazione, per cui interessi opachi si inseriscono nelle maglie delle decisioni politiche. E’ chiaro che se l’azione politica rimane subalterna, spesso consapevolmente, dell’economia e della finanza, qualunque grande decisione non può che essere vittima dei loro tentacoli. Fino a quando la situazione resterà come quella attuale, non c’è COP che tenga. Resterà solo l’amaro in bocca perché si ripete all’infinito sempre la stessa storia: a decidere sono sempre gli stessi, a subire pure!