COP28, tanto rumore per nulla (o quasi). E a pagare il prezzo più caro è l’ambiente

La conferenza sui cambiamenti climatici si chiude con posizioni anodine sui combustibili fossili: la politica rimane succube dell’alta finanza e dei petrodollari.

Roma – Si è tenuta all’Expo City di Dubai, sotto la presidenza degli Emirati Arabi Uniti, dal 30 novembre al 12 dicembre 2023, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2023, conosciuta anche come COP28. E’ stata la XXVIII Conferenza delle Parti della Convenzione quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici.

Dopo tanto parlare e contrasti è stato partorito un documento di compromesso in cui si esplicita l’allontanamento, ma non la rinuncia, dai combustibili fossili, per “raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050” in maniera confacente ai desiderata della Scienza. Non si tratta di una presa di posizione netta, né sulle energie fossili, né sul carbone. La solita soluzione intermedia della politica per non scontentare nessuno.

D’altronde una conferenza sui cambiamenti climatici svoltasi negli Emira Arabi Uniti, uno de maggiori Paesi produttori di petrolio, che contribuisce all’inquinamento ambientale non ci si poteva aspettare di meglio. E’ come aver nominato Dracula, direttore dell’AVIS (Associazione Volontari Italiani del Sangue)! Gli ottimisti hanno dichiarato che, comunque, si tratta di un avanzamento rispetto alle posizioni precedenti. Come sempre, saranno i fatti gli unici severi giudici.

Le premesse non sono incoraggianti, anche per le locuzioni utilizzate nel documento ratificato, vaghe e aleatorie. Ad esempio, quando si dice di “accelerare gli sforzi” per far calare l’uso del “carbone unabated” (carbone senza sosta), cosa si intende? Si tratta di un processo di abbattimento che comporta la combustione di carbone, petrolio e gas combinata con la cattura e lo stoccaggio permanente di una parte delle emissioni di CO2 risultanti. Ovvero, di quelle centrali o industrie che non hanno installato dei dispositivi che permettono di recuperare il biossido di carbonio prodotto prima che questo venga disperso nell’atmosfera terrestre, alimentando così l’effetto serra.

Oppure quando si parla di sistemi di produzione di energia ad emissioni basse o nulle da raggiungere “ben prima o attorno alla metà del secolo” è una frase ambigua, poiché ben prima e attorno non hanno lo stesso significato. Se non si prendono decisioni nette, chiare e concretizzabili il problema non avrà mai una soluzione efficace per le sorti dell’umanità.

Anche perché le attività di lobbyng dell’industria “oil&gas” sono incessanti ed hanno già persuaso i governi de G20 ai loro interessi. Ora, si aggiunge il termine “unabatad” che non può non produrre pessimismo sul raggiungimento degli obiettivi di Parigi del 2015, in cui, com’è noto, si convenne di mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C in più rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C.

Ancora una volta, l’ennesima, la politica soccombe nei confronti con l’alta finanza e i petrodollari. A pagare il prezzo più caro è l’ambiente in generale e le persone meno abbienti, che sono le prime vittime dei cambiamenti climatici, da cui scaturiscono, alluvioni, frane, tsunami. Ma “lor signori”, che vivono in palazzi ultra accessoriati e nelle più svariate comodità, pensano di essere eterni?

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