La Federazione Cimo Fesmed mostra l’abbandono dei sanitari degli ospedali per andare verso un mercato più redditizio.
Roma – Recentemente il Ministero della Salute ha diffuso i dati sullo stato di… salute del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Dal 2020, anno della pandemia, al 2022 i medici sono passati da oltre 103 mila a 101.826. Così come è fortemente calato il numero del personale infermieristico. Ma oltre a questi dati, ci sono quelli del numero dei cosiddetti “gettonisti”, ovvero medici che non sono dipendenti ma che fanno parte di cooperative assunti a chiamata per coprire il fabbisogno ospedaliero.
Il fenomeno emerse durante la pandemia e da allora si è consolidato, anche perché meglio retribuiti. Infatti, secondo un sondaggio di qualche anno fa a cura della Federazione Cimo Fesmed, un sindacato di rappresentanza dei medici dirigenti, quasi il 40% manifestò la volontà di dimettersi dal SSN per lavorare a gettone, percentuale che salì al 50% tra i medici più giovani. Inoltre, almeno fino a 2028 il rapporto tra medici e pensionamenti sarà sbilanciato in favore di quest’ultimi, soprattutto nelle regioni meridionali. Dopo si spera in un miglioramento, dato che si dovrebbero manifestare gli effetti dell’aumento dei posti nelle Università per le specializzazioni.
Tuttavia è emersa una forte criticità, ovvero che più del 25% dei posti messi a concorso nelle scuole di specializzazione non è stato coperto per mancanza di candidati! Alcune discipline, come la medicina di Pronto Soccorso, di questo passo, rischierebbe di scomparire. Ma ce ne sono altre che arrancano, in quanto considerate poco attrattive: patologia e biochimica clinica, genetica medica, microbiologia, medicina e cure palliative. Comunque, poiché come dice un vecchio adagio “la lingua batte dove il dente duole”, il problema impellente è sempre quello: i gettonisti, che sta sconvolgendo il sistema. Un medico a gettone per un turno di 12 ore può essere retribuito fino a 1000 euro. Ovvero sono sufficienti alcuni gettoni per avere uno stipendio uguale a quello percepito da un dipendente. Il problema è così prorompente che, lo scorso febbraio, l’Autorità Nazionale Anti-corruzione (ANAC) ha diffuso un rapporto, da cui si sottolinea che il fenomeno si sia sviluppato con la pandemia, con l’emergenza sanitaria nota a tutti. Nel 2019 questo mercato raggiunse la ragguardevole cifra di 9,6 milioni di euro.
L’esplosione totale si raggiunse nel 2021, quando la pandemia raggiunse il punto più alto, con un incremento eccezionale del 174% per un ammontare di 30 milioni di euro. Oltre all’aspetto numerico c’è ne è un altro che merita considerazione. Ovvero, il mercato, per il 64%, è in mano a solo cinque operatori economici, siano essi società tra professionisti o cooperative, mentre il restante 36% riguarda ben 25 soggetti. Come se ci fosse una sorta di “cupola” che gestisce la fetta più redditizia della “torta”.
E’ una situazione sconcertante, vista la crisi globale e quella del SSN in particolare. Come sempre l’Italia primeggia per i paradossi. Come si può arginare la riduzione del personale sanitario? Elementare Watson, tanto per citare la celebre espressione pronunciata dal grande detective Sherlock Holmes, il personaggio dei libri di Arthur Conan Doyle, invece di investire direttamente nel sistema, si spostano risorse finanziarie all’esterno. Alla faccia degli statuti dell’Aziende sanitarie o delle Pubbliche Amministrazione, in cui è sancito il rispetto dell’efficienza, efficacia ed economicità. Il primo indica la capacità di raggiungere l’obiettivo prefissato, il secondo fa riferimento all’abilità di farlo al costo minore impiegando le risorse minime indispensabili. Il criterio di economicità esprime il dovere per la pubblica amministrazione di far un uso diligente delle proprie risorse economiche. Abbiamo visto cosa si intende per costo minore e per uso diligente dei soldi!