L’ex vigile del Fuoco ha sempre professato la propria innocenza e mirava alla revisione del processo. Il tribunale di Asti ha stabilito che l’analisi scientifica degli indumenti della vittima non si farà dunque Buoninconti dovrà scontare il fine pena mai. La difesa del colpevole di omicidio e occultamento del cadavere di Elena Ceste si dichiara privata di una prerogativa essenziale all’accertamento della verità. Evidenti le analogie con il processo a carico di Massimo Bossetti.
Costigliole D’Asti – Michele Buoninconti, 53 anni, condannato a 30 anni di carcere, in maniera definitiva, per la morte della moglie Elena Ceste, 37 anni, si è sempre professato innocente. Mai un’ammissione, nemmeno parziale, delle responsabilità che gli inquirenti gli hanno ascritto. L’ex vigile del fuoco ha sempre rigettato al mittente le accuse di omicidio e occultamento del cadavere della donna, poi ritrovata in un fossato prospiciente il Rio Mersa.
L’uomo, tramite il suo staff difensivo composto dall’avvocato Giuseppe Marazzita, dal direttore della Falco Investigazioni di Lucca, Davide Cannella, e dal biologo forense Eugenio D’Orio, aveva chiesto l’accesso ai reperti onde effettuare approfondite analisi forensi su reperti mai sottoposti alle prove di compatibilità del Dna.
La Suprema Corte stabiliva la competenza del nulla osta al tribunale di Asti che, nei giorni scorsi, si esprimeva con un diniego siglato dal giudice Giorgio Morando. La decisione ci ricorda da vicino il caso giudiziario di Massimo Bossetti, il carpentiere di Mapello condannato all’ergastolo per la morte di Yara Gambirasio. Anche a Bossetti veniva negato l’accesso al Dna residuo, il cosiddetto “scartino” mai analizzato dalla difesa e più volte richiesto.
Anche Bossetti ha sempre respinto le accuse ma a meno di fatti nuovi il muratore dovrà rimanere in cella per sempre, fatti salvi i diritti per buona condotta, sconti, permessi premio e semilibertà concessi ai detenuti secondo le norme del nostro ordinamento penitenziario. Intanto per Michele Buoninconti la strada della revisione è in salita e a seguito della risposta del giudice di Asti bisognerà attendere tempi migliori magari con qualche novità dell’ultim’ora. In buona sostanza la difesa dell’ex pompiere di Costigliole sperava di arrivare a risultati importanti tramite l’analisi del Dna su alcuni vestiti appartenenti alla vittima.
Gli indumenti erano stati rinvenuti dal marito dentro il giardino di casa il giorno della scomparsa di Elena Ceste, il 29 gennaio 2014. L’obiettivo, ovviamente, era quello di richiedere una revisione del processo ma Buoninconti, attualmente detenuto nel carcere di Alghero, dovrà aspettare un’altra occasione, qualora mai ci sarà. All’epoca dei fatti le indagini si erano subito orientate nei confronti del marito di Elena il cui cadavere veniva ritrovato mesi dopo in avanzato stato di decomposizione sotto una pesante coltre di detriti.
L’autopsia non aveva dato alcun esito certo in merito alla morte della donna, men che meno sulle cause che l’avevano provocata. Nonostante i medici legali avessero dato il meglio di sé con un referto autoptico cosi frammentario e incerto i magistrati giudicanti, per ben tre volte, non hanno avuto dubbi sulla colpevolezza di Buoninconti che, infatti, veniva condannato al massimo della pena prevista con il rito abbreviato condizionato. Qualche dubbio, per noi che abbiamo seguito il processo, rimane. E non siamo i soli:
“…Il collegio difensivo – scrive in una nota la Falco Investigazioni di Lucca – preso atto di quanto disposto dalla Corte di Asti e rispettando pienamente la decisione, ritiene indispensabile osservare che la Corte, non consentendo alla difesa di svolgere analisi autonome sui reperti in sequestro, la priva, a parer nostro, di una prerogativa essenziale all’accertamento della verità. Tale privazione sovverte quanto stabilito dall’articolo 111 della Costituzione , sul giusto processo e la parità delle parti processuali. Negando alla difesa gli accertamenti tecnici richiesti, il cittadino è privato del pieno esercizio del diritto alla difesa, anche qui sovvertendo quanto statuito all’articolo 24 della Costituzione, ovvero il diritto inviolabile alla difesa. La prassi di non concedere i reperti alle difese è purtroppo tipica del sistema giudiziario italiano. In America, per fare un solo esempio, tale richiesta è sempre accolta, appunto perché legata ai diritti fondamentali di chi si assume la difesa di un imputato. Proprio grazie a questi accertamenti, solo negli ultimi anni, ben cinquecento cold case sono stati risolti e i cittadini ingiustamente condannati hanno avuto giustizia…Nel caso di Elena Ceste, per di più, distruggendo questi reperti, si distruggeranno per sempre i diritti fondamentali dell’imputato…”.
La vittima sarebbe stata strangolata in casa e poi gettata sul greto del torrente per mano di Buoninconti. Nessuna prova certa.