non si tratta di commento politico, non si tratta di difesa di una o dell’altra categoria di cittadini, si tratta di ristabilire il significato di “essere” cittadino.
Potrei vagabondare su un “cuore” che mai cessa di essere fonte di anelito e di tormento, su un “coraggio” da lui diretto derivato, su una “concordia” che estesamente interpretata mi porterebbe su mari variamente intensi, ma io trovo che il vocabolo più adatto ad una sosta di riflessione, in questo particolare momento, sia il termine “cittadino”. Quello derivante da civis.
Civis, nome parisillabo, appartenente alla terza declinazione ed ancor più appartenente alla res publica romana. Una “res publica” che mai avrebbe potuto essere tale, cioè cosa pubblica, se non si fosse fondata sui propri cives = i propri cittadini
Inesistenti gli uni senza l’altro e viceversa. Quel “cittadino” derivato dal “civis” ed ancora una volta elemento fondante, costitutivo, difensore di agglomerati nuovi, memori dell’urbe Roma ed al contempo altri da lei, altra città da lei, ma, come lei, irrealizzabile senza il senso civico, senza il civismo di chi è venuto a formarla, ha desiderato essere partecipe, ha provato l’onore di farne parte. Dunque… il cittadino.
E’ risaputo che il passare del tempo, ma ancor più l’uso, logorano il significato delle parole che finiscono per assumere un andamento così abitudinario da scorrere tanto facilmente da diventare nomi comuni di cosa: eccessivamente comuni.
Per questo mi piace (noiosamente?, forse con meticolosità molesta?) venire da voi a ragionare del significato delle parole in un tentativo di riappropriazione e di rinverdimento del senso di cui sono portatrici, e che uso diventato abuso, genericità divenuta superficialità ci hanno indotto a trascurare.
Un discorso in particolare mi ha portato a pensare che occorresse fermarci un attimo, un attimo solo, non di più, sul valore di dirci, di essere, di sentirci “cittadini”. Ad inframezzare la mia costante distrazione, il mio perenne vagolare nella consolante astrazione, è giunto il messaggio che indicava come cosa buona e giusta togliere il voto ai cittadini anziani per darlo ai cittadini sedicenni in quanto fautori del futuro.
Dapprima, data la nebulosità errante della mia mente, ho preso questa affermazione come un’entità sognante che avesse colpito una volta di più le mie connessioni cerebrali, ma, poichè l’ho intercettata anche nel mio disordinato navigare in Google (per me altrettanto sognante fornitore di scibile umano) e, nel mio irrequieto zappingare, anche in un TG (per me altrettanto sognante elargitore di notizie quotidiane) ecco che mi sono soffermata un attimo, proprio come dicevo.
Qui non si tratta di commento politico, non si tratta di difesa di una o dell’altra categoria di cittadini, si tratta di ristabilire il significato di “essere” cittadino.
A me non solo infastidisce la proposta di cittadini di serie A e di cittadini di serie B: mi preoccupa.
Mi preoccupa perchè, prima di accedere a qualsiasi considerazione spicciola, quandi si afferma che è bene “togliere” qualcosa a qualcuno si lede, sempre, la dignità della persona.
In particolare e tanto più quando si tratta della privazione di un diritto.
Io nasco cittadino, occorre che venga educato ad essere cittadino, esercito il mio dovere di cittadino, muoio cittadino.
Non sono qui a rispolverare la vieta idea del rispetto per il cittadino anziano che l’antichità metteva in atto, non sto a predicare la vecchiaia come valore aggiunto (che forse, ma solo forse, andrebbe pure valutata), sono a rivendicare il fatto che i diritti civili sono inalienabili, sono a ricordare che tacciare di inadeguatezza civile è evidenziare disprezzo per una categoria umana, sono qui a dire che si pone troppa scarsa attenzione all’idiozia evidente o serpeggiante nella nostra realtà quotidiana di persone e di cittadini, sono a rinfrescare la memoria sul fatto che quando si è iniziato a sottrarre diritti ad una fascia di cittadinisi è sempre posto le basi per movimenti distruttivi che ora amiamo edulcorare col termine populisti. La storia non sarà “magistra” di vita, ma neppure è “magistra” di niente.
Io non desidero essere Cassandra di nulla e neppure foriera di ansie inesistenti, ma talora, è bene ripensare a quanto l’idiozia sia stata sottovalutata nel tempo, quanto ci sia sempre stata un’iniziale bonarietà sorridente, un vanitoso attendismo verso l’irragionevolezza, la paranoia, l’oltraggio alla dignità spesso celati sottoforma di affermazioni cretine, in quanto sinonimo di imbecilli.
E’ per questa inquietudine non latente, ma quanto mai concreta (e si badi bene che nonostante la citazione riconoscibilissima, io, qui, non indico alcun colore politico. Ho in mente, piuttosto, la “discriminazione” in senso lato) che ritengo necessità prioritaria fermarsi, sostare, prendere fiato. Come quando si riemerge dall’apnea. Perchè, a ben guardare, altro non è stata che un’apnea politica, sociale, culturale l’avvicendarsi dei nostri ventenni… A partire dall’anestesia all’insegna della romanità antica (la gloria del nostro comando sul mondo) per proseguire con la “grande illusione” del sucesso economico ed infine quella totale del vuoto, talmente vuoto che non offre neppure lo spunto per un’aggettivazione, che ci sta affliggendo. Cosa dobbiamo evidenziare? Che il popolo italiano ha bisogno di sognare? Come tutti i popoli. Che ha bisogno di sperare. Come tutti i popoli. Indistintamente. Cosa desideriamo suggerire? Di prestare attenzione. Di prendere consapevolezza di segnali apparentemente risibili (apparentemente) che nello svuotamento culturale ed ideale, vadano dapprima ad eliminare il significato delle parole e poi ad alienarlo. Da sempre è stato più facile di quanto si potesse prevedere o ipotizzare perchè c’è sempre una motivazione così banale (= i vecchi sono il passato, i giovani il futuro) così pedestre che incarnando l’ovvietà da far scivolare prima, durante l’ascolto, poi in una dimenticanza assimilava l’aggressività più pericolosa; quella che cerca come bersaglio un termine comunissimo (ad esempio cittadino), usatissimo al punto di, usatissimo al punto di, usatissimo al punto di diventare scivoloso, bypassante.
E’ un meccanismo fruttuoso poichè la vaghezza è il contenitore più favorevole a qualsiasi interpretazione e che io vorrei credere sia stato usato in modo superficiale, un po’ inconsapevole, tranquillamente idiota. Niente più di questo.
m.r.