In Cile la grave situazione rimane da allarme rosso tra disordini e violenze. I militari di Pinera rispondono con manganello e fumogeni. I video da Santiago si commentano da soli
Santiago del Cile – Aumentano i prezzi e tornano le barricate della fame. “Papá il destino ci perseguita, senti i rumori nelle strade, sono gli stessi del Venezuela, con il coprifuoco ci tengono prigionieri in casa, per favore andiamocene via anche da qui”. Queste le parole pronunciate in lacrime da Jesus al padre Walter José Cerro Napolano, uno dei tanti migranti venezuelani, di origini italiane, emigrato tre anni fa in Cile per fuggire da un paese collassato sotto il regime di Nicolás Maduro.
Dopo il Venezuela, anche altri paesi dell’America Latina esplodono sotto un’ondata di proteste e violenze generate da una matassa ingarbugliata di tensioni economiche, politiche e sociali: l’Ecuador di Lenin Moreno, in rivolta contro la rimozione dei sussidi dei carburanti, l’Argentina a rischio default sotto la nuova guida del peronista Alberto Fernandez, il Brasile sotto l’estrema destra di Jair Bolsonaro, la Bolivia di un quantomai discusso Evo Morales. E adesso il Cile di Sebastián Piñera, al suo secondo mandato.
Venerdì 18 Ottobre, al termine di una giornata di violente proteste per l’aumento del prezzo del biglietto metropolitano, il governo cileno ha decretato lo stato di emergenza, applicando la “legge di sicurezza dello Stato”, ed ha affidato il controllo della capitale ai militari, nominando tra le fila dell’esercito un “capo della difesa nazionale”, il generale Javier Iturriaga del Campo. Il generale ha subito imposto il “toque de queda”, ovverosia il coprifuoco, non solo a Santiago, ma anche al nord nelle città di Antofagasta, la Serena e Coquimbo, nella regione centrale di Valparaíso, nelle città di Racangua e Talca e a sud nelle province di Concepción e Valdivia. Un coprifuoco cominciato sabato 19, dalla sera fino all’alba. Un modus operandi tipico dei paesi dell’America Latina.
Dopo l’inaugurazione del sistema del trasporto pubblico “Transantiago” nel 2007, di proprietà in parte statale e in parte privata, e che ora invece si chiama “Red Metropolitana de Movilidad”, il prezzo del biglietto è aumentato ben 22 volte: il valore è passato dai 420 pesos (0,59 dollari) di 12 anni fa agli 830 pesos attuali (1,17 dollari), con un’ultima maggiorazione da 800 a 830 pesos che ha infiammato le proteste.
Questo incremento ha un impatto del 20% su un salario minimo di 300.000 pesos (400 dollari) e del 30% sulle pensioni, ma il governo cileno giustifica l’aumento del prezzo con quello dei beni di consumo, del petrolio e del dollaro, che inciderebbero sul costo di funzionamento dei trasporti.
Le reazioni contro il rialzo sono iniziate lunedì 14, quando gli studenti hanno iniziato ad invadere alcune stazioni saltando i tornelli, evitando i controlli e compiendo atti vandalici che hanno dato il via ad una escalation di violenze culminate con l’incendio al palazzo dell’Enel, nella tarda serata di venerdì.
Santiago del Cile e le sue zone limitrofe sono piombate nel caos più totale: carri armati in strada, duri scontri a suon di lacrimogeni tra i cacerolazos, cioè i dimostranti, e i carabineros, i poliziotti cileni. Si sono moltiplicati i saccheggi, gli incendi a supermercati, ai negozi ed alle auto. E’ stata chiusa la rete della metro, che trasporta generalmente 2,8 milioni di persone.
Il coordinamento delle proteste avviene attraverso i social network, tramite l’hashtag #EvasiónMasivaTodoElDia, con il quale vengono indicati ora e luogo dei ritrovi dei manifestanti, soprattutto studenti delle scuole superiori e universitari a cui, negli ultimi giorni, si è affiancato il resto della popolazione. Una disobbedienza civile che che è stata criminalizzata sia dal governo in carica, di destra, sia dall’opposizione, attraverso la voce del deputato democristiano Matías Walker.
Il bilancio ufficiale al momento è di almeno 20 morti, centinaia di feriti, oltre 7.000 arresti e 1,4 miliardi di danni per l’economia del paese. Secondo la “commissione Interamericana per i diritti umani”, i morti sarebbero invece 42, ben 121 le sparizioni forzate ed un migliaio di casi di torture, tra cui emblematica appare la denuncia di Josué Mauriera Ramirez, studente di medicina violentato dai militari con un manganello. Anche Amnesty International ha ricevuto centinaia di denunce di violazione dei diritti umani: comportamenti brutali deicarabineros, che avrebbero preso a manganellate e, in taluni casi, gambizzato i manifestanti. Tutto ciò, per giunta, sotto l’effetto di cocaina, come mostrato da un video circolato diffusamente in rete.
Che fine ha fatto il Cile definito, non molto tempo fa, dallo stesso Piñera “un’oasi prospera e felice“? L’aumento del costo dei trasporti è stata la miccia scatenante di un malessere profondo della popolazione, frustrata dal carovita, dai salari bassi, dalla corruzione, dalle forti disuguaglianze sociali, nonché dal costo insostenibile dei sistemi pensionistici, sanitari e dell’istruzione, che sono tutti stati privatizzati. Un apparato privato, erede della dittatura di Pinochet, che pesa enormemente sulle tasche degli contribuenti, primeggiando su un sistema pubblico svuotato di risorse e inefficiente.
Nonostante la decisione del presidente di revocare l’aumento della tariffa del biglietto e l’impegno assunto di convocare una riunione per cercare una soluzione condivisa, i cileni non hanno abbandonato le strade, rispondendo con una marcia pacifica a cui hanno preso parte più di un milione e 280 mila persone solo in Plaza Italia venerdì 25 ottobre. Una manifestazione che verrà ricordata come la più grande protesta mai verificatasi in Cile. Concentrazioni simili si sono peraltro registrate in tutto il resto del paese.
Il corteo di Plaza Italia esponeva obiettivi ben precisi: allontanare le forze armate dalle strade, cancellare le leggi che opprimono il popolo e convocare un’assemblea costituente per chiedere una nuova costituzione. Il presidente, dopo le scuse pubbliche, ha promesso nuove riforme, tra cui l’aumento del 20% delle pensioni minime, la riduzione del prezzo dei medicinali e la stabilizzazione di quello dell’elettricità. Inoltre ha annunciato la fine dello stato di emergenza e del coprifuoco a partire da domenica 24.
Purtroppo, né questi propositi né la sostituzione di 8 ministri con l’annunciato rimpasto di governo sono stati sufficienti a fermare i manifestanti, che si sono rifiutati di credere alle promesse dell’esecutivo ed alle sostituzioni ministeriali in settori che non incidono affatto sulla martoriata economia cilena. Di fatto, i vecchi ministri della Salute, dell’Istruzione e dei Trasporti sono rimasti al loro posto.
Nel tardo pomeriggio di lunedì 28 ottobre, per tutta risposta, sono state nuovamente occupate le strade, proprio mentre il nuovo esecutivo si apprestava al giuramento. Un corteo pacifico si è diretto verso La Moneda, mentre, poco lontano, un altro gruppo di partecipanti ha appiccato il fuoco alla stazione del Baquedano (rivelatasi anche uno dei luoghi in cui i militari erano soliti torturare i manifestanti), ad un centro medico, al Mc Donald’s, ai locali del Fashion Park ed ha assaltato un supermercato nelle vicinanze del palazzo presidenziale. Disordini analoghi si sono verificati anche nelle città di Valparaíso e Concepción.
Il Cile è esploso in tutta la sua carica distruttiva, dando alle fiamme le sue stesse città e sfidando lo Stato e le istituzioni per difendere i diritti di un paese che ancora non riesce a liberarsi del tutto del suo passato dittatoriale. Le immagini ed i video che ci arrivano dai centri abitati non hanno bisogno di molti commenti.