Mentre si contraggono le risorse, conflitti e cambiamenti climatici aumentano l’indigenza globale: al mondo c’è un continente (300 milioni) che non mangia.
Roma – I morsi della fame mondiale continuano a farsi sentire. Mentre nell’opulento Occidente non si smette di sprecare cibo e tanti suoi cittadini sono in soprappeso se non obesi, nel resto del mondo milioni di persone patiscono la fame. L’emergenza della pandemia e la crisi climatica ha accentuato questo problema. Secondo l’Agenzia dell’ONU “World Food Programme” (WFD), la più grande organizzazione umanitaria impegnata nell’assistenza alimentare, Gaza in Palestina – sotto assedio delle truppe israeliane dopo l’efferato attacco subito il 7 ottobre scorso, con migliaia di morti e feriti- sarà una delle emergenze di quest’anno. I dati diffusi sono terribili.
Oltre mezzo milione di palestinesi vive molto al di sotto dei livelli minimi di sicurezza alimentare col rischio di morire. Quattro persone su cinque a rischio carestia vivono a Gaza. La cronaca ci informa, quotidianamente, dei tanti conflitti sparsi per il mondo e degli effetti dovuti al cambiamento climatico. Entrambi non fanno che produrre fame, povertà e indigenza. L’assistenza umanitaria resta, purtroppo, per milioni di persone l’unica àncora di salvezza a disposizione. Le stime dell’ONU per il 2024 parlano di 300 milioni di persone in 72 Paesi che necessiteranno di assistenza alimentare. La lista è, ahinoi, lunga.
In Sudan, a causa del conflitto, scoppiato lo scorso anno, 25 milioni di persone hanno bisogno di assistenza. Poi Burkina Faso, Mali e Nigeria sotto osservazione per i conflitti e la loro instabilità. Inoltre, Haiti, Afghanistan, Sud Sudan, Siria, Yemen. Tutti Paesi oggetti di contese internazionali, che subiscono conflittualità e povertà. Ed è proprio in queste zone che sono stati ridotti drasticamente le risorse per l’assistenza alimentare. La WFD è un’agenzia che si finanzia solo su base volontaria ed essendo diminuito l’argent a disposizione, si comprendono benissimo le difficoltà in cui deve agire. Il numero di persone vittime della cosiddetta “fame acuta”, l’anno scorso è stato di 333 milioni, ben 200 milioni in più rispetto al periodo della pandemia. Quindi, crescono sia le emergenze che i problemi per praticare l’assistenza necessaria.
Fornendo meno assistenza, però, si entra in un circolo vizioso, per cui gli aiuti vengono elargiti a chi è… ad un passo dalla morte, a danno di chi è affamato, ma potrebbe essere salvato. È come trovarsi in un “cul-de-sac”, perché coloro che non riceveranno assistenza, si troveranno, dopo un po’, nel girone degli affamati acuti. L’Europa e l’Italia in primis dovrebbero essere tra le più attente al fenomeno. La fame, infatti, spinge molte popolazioni, come si è sempre verificato nella storia, ad emigrare, ad ogni costo. L’ONU pubblica ogni anno un rapporto “Global Humanitarian Overview” (Panoramica Umanitaria Globale), a cura dell’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari. Documenta quante persone hanno bisogni umanitari insoddisfatti e i finanziamenti necessari alle agenzie assistenziali per soddisfarli.
Ebbene, per il 2024 le stime indicano una persona su 73 che rischia di essere sfollata, una cifra quasi raddoppiata rispetto a 10 anni fa. La gran parte resta nel continente originario e solo una piccola percentuale decide di emigrare. Questo accade quando si trovano allo stremo delle loro forze. Se si presentano siccità e alluvioni, l’unica scelta possibile è scappare con qualsiasi mezzo. Se le risposte saranno sempre emergenziali, rattoppando i buchi, non se ne uscirà mai. Quello che manca è una visione complessiva del fenomeno che punti a rafforzare lo spirito e l’economia delle comunità locali. Ma gli interessi geopolitici e delle multinazionali sono tali, che si resta in… fiduciosa attesa della nuova emergenza!