La sentenza degli Ermellini conferma che gli stranieri richiedenti asilo non possono essere considerati “clandestini”, ribaltando l’uso del termine da parte della Lega in una vicenda di 7 anni fa. La decisione riflette su una maggiore sensibilità verso la dignità delle persone migranti.
Roma – La Cassazione ha confermato che la Lega, per una vicenda di 7 anni fa, relativa alla questione immigrazione ed in particolar modo alla qualifica di “clandestini”, dovrà risarcire le associazioni che l’avevano portata in giudizio. Nel 2016 diversi cartelli esposti dalla Lega a Saronno (Varese) riportavano una frase lapidaria: “Non vogliamo i clandestini”.
Questo contro l’assegnazione di 32 migranti richiedenti asilo. Il contesto era quello di una manifestazione di protesta, convocata proprio dai leghisti perché ad un centro di assistenza, messo a disposizione dalla parrocchia cittadina, erano state assegnate 32 persone migranti da ospitare. Nello specifico si trattava di uomini e donne che avevano fatto richiesta di asilo ed erano in attesa dell’esito della loro domanda: in nessun modo, quindi, potevano ritenersi immigrati irregolari o clandestini.
La conferma, come detto, è arrivata dalla Cassazione, il 16 agosto. In sostanza, “gli stranieri che fanno ingresso nel territorio dello Stato italiano perché corrono il rischio effettivo, in caso di rientro nel Paese di origine, di subire un grave danno, non possono a nessun titolo considerarsi irregolari e non sono dunque clandestini”, si legge nel testo della sentenza. Hanno avuto ragione, quindi, l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) e il Naga (associazione milanese di volontariato per i diritti dei cittadini stranieri). I due enti avevano portato la Lega (locale e nazionale) in tribunale sette anni fa, e i primi due gradi di giudizio avevano già dato loro ragione, sia nel 2017 che nel 2020.
La linea delle associazioni era che usare il termine “clandestini” fosse una “molestia discriminatoria”, cioè “un comportamento idoneo a offendere la dignità della persona ed a creare un clima umiliante, degradante e offensivo. Al contrario, gli avvocati della Lega avevano invocato il diritto di un partito politico a manifestare liberamente la sua posizione. Per la corte, però, “il diritto alla libera manifestazione del pensiero, cui si accompagna quello di organizzarsi in partiti politici, non può essere equivalente o addirittura prevalente, sul rispetto della dignità personale degli individui”, soprattutto per individui in situazioni di fragilità, come le persone migranti. Il vero problema è che ci sono narcisismi localistici che non esprimono buoni sentimenti per il proprio popolo e la propria cultura.
Nascondono, in sostanza, uno spirito chiuso che, per una certa insicurezza e timore verso l’altro, preferisce creare mura difensive per preservare sé stesso. Si preferisce, in definitiva, essere egoisti ed insensibili ai drammi di altri popoli, anziché essere autenticamente solidali. La mancanza di generosità, però, impedisce in tal modo alla vita locale di essere recettiva, limitando le possibilità del proprio sviluppo. D’altronde è anche evidente che una persona quando ha minore elasticità, nella mente e nel cuore, non potrà mai interpretare la realtà in cui è immersa. Insomma, senza il rapporto ed il confronto con chi è diverso è difficile avere una conoscenza chiara e completa, non solo degli altri ma anche di sé stessi e della propria terra. In realtà una sana apertura non si pone mai in contrasto con l’identità.
È solo un arricchimento, che però non deve portare alla perdita delle proprie radici ma a meglio comprendere ed approfondire, attraverso il confronto, la propria identità culturale. In ogni caso, la sentenza, benché riferita a una vicenda di anni fa, dice molto anche alla politica di oggi. In particolare, sulla inaccettabile consuetudine di continuare a usare il termine clandestini per coloro che arrivano sul nostro territorio, comunque arrivino, per cercare protezione. Persone con una dignità da rispettare.