Il 20 e il 21 dello scorso settembre si è tenuta l’Istruttoria pubblica in merito al disagio abitativo del Comune di Bologna. Tra boom turistico e aumento di studenti, trovare casa è un’impresa. E a farne le spese sono le fasce economiche più deboli.
Il 20 e il 21 dello scorso settembre si è tenuta l’Istruttoria pubblica in merito al disagio abitativo del Comune di Bologna . L’Istruttoria è un primo traguardo per la risoluzione di un problema abitativo che affligge la città da diversi anni, soprattutto nel centro storico, e che si è particolarmente aggravato per il sovrapporsi simultaneo di almeno tre elementi: il progressivo aumento del turismo, con la conseguente destinazione di molti immobili ad affitti brevi, perlopiù tramite la piattaforma AirBnb; l’incremento della popolazione studentesca fuorisede; e, infine, conseguenza diretta del secondo punto, l’impossibilità dell’azienda regionale per il diritto allo studio di assegnare alloggi a tutti gli aventi diritto.
Ne conseguono sia un’incapacità della città di soddisfare la domanda di alloggi sia una crescita esponenziale dei canoni d’affitto. Chiunque abbia una qualche conoscenza delle trasformazioni che hanno investito Bologna negli ultimi anni non può che constatare come questi fattori non costituiscano una novità: la popolazione studentesca bolognese è in crescita costante almeno dal 2013 (con una piccola flessione nell’anno accademico 2014-2015) e lo stesso si può dire dell’afflusso turistico. Il problema ha insomma radici profonde, i cui effetti si manifestano ora con particolare gravità. Per avere un’idea più chiara di quali siano i prodromi del fenomeno e di come l’amministrazione comunale se ne sia fatta carico negli anni, abbiamo parlato con Paolo Brugnara di Pensare Urbano, laboratorio che vede, tra i propri membri, attivisti, ricercatori e sindacati, nato per analizzare il problema e promuoverne la presa in carico da parte dell’amministrazione.
Quali sono le cause remote dell’attuale situazione abitativa a Bologna?
Questa situazione è iniziata più o meno nel 2008 con l’arrivo di Ryanair a Bologna e con l’incremento di turismo che ne è derivato. Ciò ha creato poi le condizioni per l’arrivo a Bologna di AirBnb (fondata nel 2008, ndA), uno strumento semplice per i turisti e per chi mette a disposizione le case. Chiaramente il fenomeno è cresciuto sempre di più sia con l’aumento delle tratte Ryanair sia con gli investimenti nella promozione di Bologna come meta turistica.
In che modo AirBnb, che si fonda su una retorica di condivisione, senza cioè prevedere in teoria grandi guadagni per chi affitta, diventa un affare più remunerativo di un affitto a lungo termine?
Ad oggi circa il 65% degli affitti su AirBnb a Bologna sono locazioni di appartamenti interi: questo vuol dire che la retorica di condivisione promossa dall’azienda statunitense nasconde invece un’idea imprenditoriale di messa a rendita di immobili, che vengono quindi sottratti agli affitti a medio-lungo termine, essendo questi ultimi, nella maggior parte dei casi, sia meno remunerativi che più rischiosi. Inoltre, al momento, non esiste a Bologna alcuna limitazione all’utilizzo di AirBnb e solo nell’ultimo anno si è riusciti a concordare il recupero della tassa di soggiorno da parte del Comune. D’altra parte il Comune fino a qualche anno fa aveva una percezione del fenomeno molto ridotta perché, basandosi sulle registrazioni di inizio attività, stimava che gli affitti tramite AirBnb fossero meno della metà degli effettivi. C’è stata quindi una sottovalutazione del fenomeno, un’incapacità del Comune di riconoscerne la portata e di dotarsi di strumenti per ottenere dati più credibili. Basandosi sollo sulle dichiarazioni dei proprietari chiaramente sfugge chiunque non si premuri di dichiarare alcunché, che lo faccia in buonafede o meno. Poi, da parte sua, l’amministrazione ha spinto verso una maggiore turistificazione, con tutta la retorica nota della City of Food, più funzionale a chi viene da fuori per visitare che per chi vive, lavora o studia tutti i giorni. Proprio sulla mancanza di dati Pensare Urbano ha cercato di dare degli impulsi tramite giornate seminariali o assemblee pubbliche, fino ad arrivare all’Istruttoria pubblica.
Con l’Istruttoria pubblica si sono ottenuti alcuni risultati immediati: Er.Go, l’azienda regionale per il diritto allo studio, ha prorogato i termini per la presentazione del contratto di affitto (essenziale per essere considerati fuorisede ed avere diritto alla borsa di studio, ndA); il Sindaco Merola ha manifestato l’intenzione di porre un freno agli affitti di AirBnb in centro storico attraverso il decreto Unesco. Quali sono i passi ancora necessari per risolvere la questione?
Dunque innanzitutto voglio evidenziare che l’Istruttoria pubblica si è aperta con la negazione da parte dell’assessore alla casa Viriginia Gieri del problema, mentre si è conclusa con un riconoscimento di quella che è la portata del fenomeno: quantomeno per quel che riguarda la percezione da parte della Giunta e del Consiglio Comunale già questo è un risultato. D’altra parte dallo studio HousingBo, realizzato dal Comune con l’Università e la fondazione Innovazione Urbana, emergono dei numeri che dovrebbero preoccupare un’amministrazione e pare che un po’ alla volta ci si inizi a interrogare sugli strumenti da mettere in campo. Quella del decreto Unesco può essere una parziale risposta che, però, se rimane isolata, rischia di limitarsi a spostare il fenomeno nei quartieri adiacenti al centro storico, come la Bolognina. Sarebbe invece necessario, come abbiamo sostenuto durante l’Istruttoria, intervenire anche sul numero degli appartamenti che un proprietario può mettere a disposizione: sappiamo che molti proprietari, quasi il 50%, possiedono più appartamenti, in aperto contrasto quindi con quella che dovrebbe essere la condivisione promossa da AirBnb. Questo tipo di intervento è avvenuto in diverse città europee e non solo ed è fondamentale nel rimettere a disposizione queste proprietà per chi vive la città: togliere intere porzioni di città a chi la città la abita rischia di indebolire il tessuto sociale. Bisognerebbe poi che l’amministrazione intervenisse, come ha promesso di fare, sui canoni concordati e mettesse in campo un sistema efficace per dare sostegno a chi non riesce a garantire tutte le richieste economiche ulteriori, oltre al canone d’affitto, che vengono fatte dai proprietari.
Proprio la Bolognina è l’emblema di un problema che non riguarda solo il centro storico e gli studenti fuorisede, ma più in generale la città e le categorie più deboli economicamente. Paradigmatico è il caso dello sgombero dell’edificio ex Telecom nel 2015, struttura occupata che ospitava diverse famiglie e minori senza dimora, acquistato poi dal gruppo olandese The Student Hotel per farne una struttura ricettiva sul modello di quella già esistente a Firenze, con affitti mensili fino ai mille euro. Alla luce dei tanti investimenti privati anche nelle strutture ricettive per studenti, qual è secondo voi il modello di città che ha in mente l’amministrazione?
A noi sembra che questa amministrazione non abbia un’idea di città. Ci sembra che oscilli tra decisioni condivisibili e altre che vanno in direzione contraria. L’esempio dell’ex Telecom ovviamente mira ad un target particolare di studenti. Che l’amministrazione intenda rendere la città accessibile solo o in gran parte a quel tipo di studenti non lo so, ma mi pare evidente che fatica a dare risposte a quelle persone che invece non hanno quel tipo di possibilità economiche. La Bolognina sta subendo dei processi di modifica del suo tessuto, in alcuni casi di vera e propria gentrificazione, nella cui logica rientra anche lo sgombero dell’Xm24. Se l’amministrazione non ha ben chiara un’idea di città, rischia di lasciare spazio eccessivo a chi invece un’idea di città ce l’ha fin troppo chiara, come i grandi gruppi che costruiscono studentati per determinate fasce di reddito, oppure chi riesce a speculare sulla scia turistica, aumentando la propria rendita.