La normativa sull'ennesima sanatoria era la migliore che si poteva sfornare in un clima di tensione come quello che ha vissuto e che vive il Parlamento. Altri comparti attendono pari dignità.
Roma – Nel cosiddetto “Decreto Rilancio“, che contiene decine di nuove misure per sostenere l’economia dopo il picco della pandemia, il governo ha inserito anche una procedura per regolarizzare una parte dei migranti irregolari che vivono in Italia. La misura era attesa da tempo dagli esperti di immigrazione e integrazione e secondo stime informali del ministero dell’Interno, potrebbe interessare circa 200mila persone.
Così dopo tanti confronti, minacce di dimissioni ed estenuanti discussioni, e’ stata inserita nel provvedimento di rilancio una misura di emersione a favore degli immigrati privi di uno status legale. Le lacrime della ministra Bellanova, principale promotrice della norma, hanno suggellato un risultato fino all’ultimo incerto. Comunque un passo avanti. Riuscire ad emanare una normativa del genere in un Parlamento largamente ostile a ogni apertura in favore degli immigrati era insperabile. In ogni caso si è affrontato un problema che andava da tempo regolamentato e non più dilazionato. Certamente vi sono ancora luci ed ombre nel dettato normativo ma si è restituita la dignità a individui che non sono mai state considerati tali da certi “carcerieri” erroneamente definiti datori di lavoro.
Le possibilità previste dal decreto sono due. La prima prevede che i datori di lavoro possano regolarizzare i lavoratori attualmente in nero. Se sono infatti migranti irregolari questi riceveranno automaticamente un permesso di soggiorno. La seconda prevede – per i migranti irregolari che già avevano lavorato nei settori interessati ma hanno perso il lavoro – un permesso temporaneo di sei mesi per cercare un nuovo impiego nei settori concordati.
In sostanza il governo offrirà una sanatoria per i datori di lavoro di certi comparti che impiegano in nero sia cittadini italiani che stranieri irregolari, a questi ultimi, come abbiamo detto, viene garantito il soggiorno legittimo nel nostro Paese.
È una misura che potenzialmente interessa moltissimi lavoratori che prestano la propria opera stabilmente come colf, badanti o braccianti agricoli. La condizione di quest’ultimi, in alcune regioni d’Italia, è particolarmente disumana: non hanno diritti né assistenza sanitaria, lavorano spesso sotto il ricatto della violenza, non pagano le tasse e se sono stranieri non possono allontanarsi dai cosiddetti “ghetti” in cui vivono per paura di essere scoperti e ricevere un decreto di espulsione. Secondo una stima del ministero dell’Agricoltura, i braccianti irregolari che vivono in Italia sono circa 150mila.
Il provvedimento ricalca le orme delle politiche migratorie “all’italiana”, infatti lo strumento che si utilizza, da molti anni, è una sorta di sanatoria a posteriori. In numeri sono proprio 8 le principali sanatorie che sono state fatte dal 1986 a oggi, senza contare i decreti-flusso e le altre misure minori.
Purtroppo la politica di regolazione dell’immigrazione in Italia ha sempre seguito le esigenze che imponeva il mercato. Così una volta che i datori di lavoro, famiglie comprese, avevano deciso di assumere lavoratori stranieri, il governo ed il Parlamento lo hanno concesso, sia pure dopo polemiche ed elucubrazioni mentali più da manicomio che da legislatori. Stavolta però è entrata in ballo la discriminazione settoriale, in concreto saranno “salvati” migliaia di lavoratori in agricoltura, zootecnia, pesca, servizi domestici e assistenziali presso le famiglie. Porte chiuse agli altri indotti.
Era già successo d’altronde qualcosa del genere col decreto Maroni del 2009, riservato soltanto a colf e assistenti familiari, le cosiddette “badanti”.
Molto dura la posizione di una serie di organizzazioni di categoria che avevano lanciato la campagna “Siamo qui, sanatoria subito“, per chiedere proprio un colpo di spugna per motivi umanitari e di salute generale. Negativa anche la valutazione del sindacato Usb e del suo leader Aboubakar Soumahoro che aveva già chiesto una sanatoria generalizzata per motivi di salute pubblica: “…Non vanno regolarizzate le braccia, ma gli esseri umani. Il decreto Rilancio contiene un provvedimento di regolarizzazione delle braccia e non della salute delle persone…”.
Lavorare in un cantiere edile, in un ristorante o in un’impresa di pulizia non comporta possibilità di emersione. A lenire il danno c’è la possibilità di assunzione futura: se l’attuale manovale o l’addetta alle pulizie, o anche il disoccupato, troveranno ora un datore di lavoro nei settori “giusti”, potranno essere regolarizzati. Poi tra qualche mese, grazie alla possibilità di conversione del contratto, avranno eventualmente la possibilità di transitare verso altre occupazioni. Non è difficile prevedere le conseguenze, già riscontrate nelle precedenti sanatorie: si faranno avanti una schiera di datori di lavoro di comodo, pronti a offrire contratti di assunzione fittizi dietro compenso. Questo il grande pericolo che bisogna scongiurare. Gli immigrati, per i quali l’emersione alla legalità è un bisogno assoluto, rischiano di cadere in altre forme di sfruttamento. Cioè dalla padella alla brace. Il provvedimento non è un granché ma, comunque, rimane ciò che di meglio si poteva sfornare con l’aria che tira in Parlamento.
Certamente se non c’è sensibilità verso il problema non cambierà nulla. Nessun decreto potrà imporre di essere umani ed onesti, ma controlli serrati e continui potranno evitare una ulteriore diffusione del fenomeno. D’altronde il costo della manodopera costituisce una deduzione per i ricavi delle aziende dunque potrebbe diventare anche conveniente. Estendere la conoscenza delle opportunità che vi sono all’emersione del fenomeno è utile e vantaggioso così come contrastare la compravendita dei contratti.