Il Gip decide il 10 aprile. Secondo la Procura non avrebbero eseguito gli accertamenti previsti dal protocollo regionale della Liguria.
Lavagna (Genova) – Si avvicina il momento cruciale per il caso di Camilla Canepa, la studentessa 18enne di Sestri Levante morta il 12 giugno 2021 all’ospedale San Martino di Genova per una trombosi insorta dopo la vaccinazione con AstraZeneca. Il prossimo 10 aprile, il giudice per le indagini preliminari Carla Pastorini deciderà se rinviare a giudizio o prosciogliere i cinque medici dell’ospedale di Lavagna coinvolti nella vicenda. L’udienza preliminare, attesa da mesi, potrebbe segnare l’inizio di un processo penale per omicidio colposo e falso ideologico.
Camilla si era vaccinata il 25 maggio 2021 durante un open day. Il 3 giugno, accusando forti mal di testa e fotosensibilità, si era recata al pronto soccorso di Lavagna, dove fu dimessa con una diagnosi di cefalea. Due giorni dopo, il 5 giugno, le sue condizioni peggiorarono, portando al trasferimento al San Martino, dove morì una settimana dopo. L’autopsia ha stabilito che “non aveva patologie pregresse né assumeva farmaci” e che la trombosi era “ragionevolmente da riferirsi a un effetto avverso del vaccino”, nota come VITT (Vaccine-induced immune thrombotic thrombocytopenia).
La Procura di Genova, con i pm Francesca Rombolà e Stefano Puppo, contesta a quattro medici l’omicidio colposo: non avrebbero eseguito gli accertamenti diagnostici previsti dal protocollo regionale per la VITT, come esami del sangue specifici (D-dimero e conta piastrinica), durante il primo accesso al pronto soccorso. Secondo l’accusa, una diagnosi tempestiva e una terapia adeguata – con anticoagulanti e immunoglobuline – avrebbero potuto salvarle la vita con “elevata probabilità”. A tutti e cinque gli indagati è contestato anche il falso ideologico: nella cartella clinica non avrebbero indicato che Camilla era stata vaccinata, omettendo un dato cruciale.
L’avvocato della famiglia, Jacopo Macrì, è netto: “Camilla si poteva salvare. A quella data, c’erano conoscenze scientifiche sufficienti per agire diversamente. I medici devono andare a processo”. La difesa, rappresentata dagli avvocati Paolo Costa, Stefano Savi, Alessandro Torri, Alberto Caselli Lapeschi e Maria Antonietta Lamazza, ribatte sostenendo la correttezza dell’operato dei sanitari, in un contesto di emergenza sanitaria e incertezze scientifiche iniziali sui rischi del vaccino. La famiglia Canepa, distrutta dal dolore, attende giustizia da quasi quattro anni, mentre l’esito dell’udienza del 10 aprile potrebbe segnare una svolta.