Il lavoro nero e lo sfruttamento rappresentano da anni una delle peggiori vergogne del nostro Bel Paese. E mentre affiorano vicende come quella di Beauty, picchiata per aver chiesto la paga che le spettava, la politica continua ad abbaiare ma di mordere non se ne parla.
Lavora e taci! Molto strana quest’estate italiana. Col solleone che ha raggiunto temperature infernali, ci troviamo costretti a sorbirci pure l’infimo spettacolo della campagna elettorale, dove guitti e saltimbanchi dominano la scena. I primi attori? Nemmeno l’ombra. Tutte comparse che recitano un copione trito e ritrito, del peggiore avanspettacolo, da far scendere la catena a chi non ne vuole saperne più mezza. Intanto la cronaca quotidiana si manifesta in tutta la sua crudezza, in maniera inesorabile. L’ultimo fatto, che ha meritato le prime pagine dei giornali, tratta ancora di sfruttamento del lavoro nero ed è avvenuto in quel di Soverato, cittadina incastonata come una perla nel Golfo di Squillace, in provincia di Catanzaro.
Cosa è successo di così eclatante da scatenare i lai esacerbati dei moralisti d’assalto? E’ avvenuto quello che succede tutti i giorni da tempo immemore, senza tanto clamore. Ovvero una lavoratrice nigeriana di 25 anni ha chiesto ciò che qualunque essere umano degno di tale definizione chiederebbe nelle stesse condizioni: la retribuzione per una settimana di lavoro da lavapiatti. Oltre a non essere pagata, la donna veniva sfruttata con turni di lavoro massacranti. Una volta a scuola, tra gli studenti liceali, si considerava la filosofia come: “quella cosa con la quale e senza la quale il mondo resta tale e quale”. Ebbene se al termine filosofia sostituiamo quello di politica, l’adagio è proprio sputato per la situazione italiana.
Sono almeno 40 anni che si parla di lavoro sommerso, di sfruttamento della manodopera soprattutto nelle aree del nostro Mezzogiorno, ma il resto della Penisola non scherza. Quanti governi si sono succeduti in questi decenni? Che cosa si è fatto? Praticamente nulla e i politici di turno hanno finanche la faccia di bronzo di adirarsi e sdegnarsi di fronte a fatti del genere, promettendo di avere la soluzione in tasca se avranno la maggioranza per governare! Beauty, alla sua richiesta, ha ricevuto calci, pugni, insulti e bestemmie. Ma lei, con coraggio, ha filmato tutto e sporto denuncia ai carabinieri.
Il fatto è accaduto più esattamente a Soverato Marina, in uno di quei lidi dove i titolari pagano poco la concessione e dove vige la legge non scritta di spremere i lavoratori per due soldi. La protagonista, suo malgrado, di questa storia ignobile è da cinque anni che vive lì. Ha seguito tutto il percorso di inserimento socio-economico dello Sprar, il Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiato. E’ una storia comune a tanti altri individui, molto simile a quella degli italiani che emigravano in massa negli anni ‘50-60 del secolo scorso. Con una figlia da mantenere, la poveretta si dava da fare lavorando come lavapiatti nei vari lidi del paese. Fino all’ultimo episodio che è stato filmato e trasmesso su Instagram.
C’è da dire che il video è diventato immediatamente virale ed ha ottenuto molte condivisioni, mentre la pagina web dello stabilimento balneare è stata presa di mira da recensioni negative. Vuoi vedere che si è risvegliata un minimo di coscienza civica? Scontata, infine, la reazione di rito del sindacato, in questo caso Filcams Cgil Calabria (Federazione Italiana Lavoratori Commercio Alberghi, Mense e Servizi) che in una nota ha commentato:
“…Quello che a noi pare chiaro è che questo episodio è frutto di una cultura del disprezzo di ciò che è pubblico, delle leggi e dei contratti di lavoro. Questa situazione ha dei responsabili, naturalmente, poiché nonostante le denunce continue e gli appelli rivolti a politica e Istituzioni, agli allarmi e alla vertenza Nazionale e Regionale sul Turismo, chi deve occuparsi di far rispettare le regole si gira sempre da qualche altra parte…”.
Il dramma ulteriore è che dall’altra parte, a volte, si gira il sindacato stesso e la società civile. Domina una concezione culturale per cui il fatto in sé non tocca la persona direttamente, non la riguarda. Quando, invece, come diceva il poeta statunitense Walt Whitman: “…Ogni atomo che mi appartiene, appartiene anche a te…”.