Gentiloni Tunisia Saied

Bisogna risolvere in fretta la crisi in Tunisia per evitare grossi guai

La Tunisia: una bomba ad orologeria a un passo dalle nostre coste. Se andrà in default, saremo sommersi di migranti: e per la prima volta Meloni e Macron fanno fronte comune per elaborare un “piano tunisino”.

Roma – La Tunisia rischia il default: un crollo economico che rischia di avere conseguenze catastrofiche anche per il Belpaese. Ormai è chiaro a tutti che l’unica strategia possibile per contenere gli sbarchi incontrollati è la stabilizzazione dei paesi nordafricani: ma se il Fondo Monetario Internazionale non sbloccherà 1,9 miliardi di dollari, il collasso del paese diventa un rischio concreto. Meloni e Macron, per la prima volta, collaborano per evitare il peggio.

Tunisia proteste
L’instabilità politica tunisina rischia di diventare un disastro per l’Europa.

Il paese nordafricano ha infatti subito un contraccolpo durissimo in seguito alla crisi ucraina (che ha aumentato i prezzi di generi alimentari e carburante) e al Covid-19. L’inflazione è alle stelle, il debito rischia di diventare insolvente. Cosa significherebbe? Essenzialmente, il collasso dell’intero paese, che potrebbe scivolare nel caos come molti altri paesi nordafricani negli ultimi decenni.

La salvezza di Tunisi è appesa al sottile filo degli aiuti europei e internazionali: si è proposto scongelare quasi due miliardi di dollari del FMI per permettere all’economia nazionale di salvarsi. Aiuti programmati, e poi negati, in seguito ai commenti razzisti contro i migranti e la svolta autoritaria del presidente Kais Saied. Ma perché la situazione tunisina ci dovrebbe riguardare?

Il dilemma di Saied: default o rivolta?

Beh, innanzitutto, la Tunisia agisce come un vero e proprio chiodo che tiene lontani decine di migliaia di migranti dalle nostre coste. Se la sua guardia costiera smettesse di funzionare – come accadrebbe con ogni probabilità in caso di default – o, ancora peggio, avvenisse una “situazione libica“, folle enormi si riverserebbero sulle coste europee (e nostre in particolare). Si parla di oltre 900mila unità: un disastro sociale, che causerà ulteriori tragedie umanitarie e manderà al collasso il nostro sistema di accoglienza.

Il presidente Saied deve scegliere tra il rischio di default e le simpatie del popolo.

L’aiuto dei grandi fondi monetari internazionali, si sa, non giunge però gratuitamente. In cambio del prestito, è richiesto al governo tunisino di mettere in atto una serie di riforme volte a limitare sussidi e stipendi statali, alleggerire l’assistenzialismo e privatizzare alcuni settori dell’economia (vago deja-vu con la situazione greca di qualche tempo fa). Peccato che per il presidente Saied anche questa soluzione vada incontro a problemi insostenibili.

Le conseguenze del piano vincolante di riforme si abbatterebbero sulle fasce più povere della popolazione tunisina. Crescerebbero a dismisura i prezzi dei beni alimentari, della benzina, persino dell’acqua. E i potenti sindacati stanno già dando luogo a imponenti manifestazioni in tutto il paese. Saied lo sa benissimo: accettare integralmente le riforme sarebbe un suicidio politico. Come lo sarebbe per noi non salvarlo.

Persino i prezzi del cibo stanno aumentando senza controllo.

Italiani al timone nel salvataggio della Tunisia

Sono proprio gli italiani a rendersi conto del potenziale disastro che la crisi tunisina rappresenta per l’Europa tutta. Tajani propone di fare partire i primi aiuti senza pensare alle riforme; Gentiloni è volato a Tunisi per convincere Saied ad accettare almeno parte delle riforme. Giorgia Meloni è riuscita nel miracolo: creare un asse con Macron, che ha approvato lo scongelamento dei fondi, in cambio dell’appoggio italiano alla richiesta francese di considerare il nucleare energia pulita.

Il governo italiano sta dimostrando di essere lungimirante nella sua gestione dei rapporti coi paesi africani. Il successo della partnership con la Libia dimostra che finalmente abbiamo una politica estera degna di questo nome. Bisogna adottare strategie a lungo termine che stabilizzino la Tunisia e conducano a una lenta e progressiva democratizzazione.

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