Molti studi di psicologia del lavoro hanno confermato che dipendenti sereni e motivati sono anche più produttivi. Ma evidentemente molti non lo capiscono…
Le contraddizioni della società italiana non finiscono di stupire: si fa fatica a trovare lavoro, mentre chi ce l’ha vuole, al contrario, licenziarsi. Ad agosto, secondo il “Global Talent Barometer”, il report di Manpower Group (leader mondiale per la ricerca, valutazione e somministrazione di personale) che rivela ciò che le persone desiderano dal lavoro a livello globale e in Italia, un lavoratore su tre desiderava lasciare il lavoro al più presto. Non è un fenomeno del tutto nuovo, ma ha cominciato a diffondersi durante e dopo la pandemia (le cosiddette “Grandi Dimissioni”) negli Usa per propagarsi in Europa perché si è verificato un sovvertimento del paradigma culturale. Ovvero si pensa più al benessere individuale che alla retribuzione. Soprattutto il timore è di essere fagocitato dal burnout.
I dati relativi al 2023 hanno indicato un 22% in più di dimissioni rispetto al 2021. Gli analisti ritengono che il motivo, da un lato, potrebbe essere la ripresa economica dopo il Covid-19, con più offerte, quindi, per cambiare lavoro. Dall’altro, proprio la crisi ha determinato un desiderio di un maggiore equilibrio della vita privata con quella professionale. Inoltre, anche le dinamiche interpersonali coi colleghi di lavoro e col management possono aver influito nella scelta. Questa trasformazione ha prodotto un cambiamento del rapporto tra lavoratori e imprese.
Ora, in un contesto di in trasformazione, tra la carenza di professionisti qualificati e la discrepanza tra le competenze richieste dalle aziende e quelle offerte dai lavoratori, non basta più la garanzia dello stipendio. Le aziende, a fatica, stanno cercando di soddisfare le richieste dei propri dipendenti, almeno lo stanno predicando, in quanto è fondamentale lavorare in un ambiente sano. Molti studi di Psicologia del Lavoro hanno confermato che dipendenti sereni e motivati sono anche più produttivi. La scoperta dell’acqua calda, i nostri nonni dicevano sempre che quando si va al lavoro, la “testa non vuole pensieri”, nel senso che non bisogna essere oberati di preoccupazioni!
Ma quando si tratta di aziende, gira e rigira il business è sempre la ratio primaria. I progetti a favore dei dipendenti, infatti, hanno messo in moto un mercato che, nel 2028, si stima in 95,78 miliardi di dollari. Però, nonostante questi investimenti, le loro condizioni non sono, affatto, migliorate, mostrando una forte incongruenza tra le risorse stanziate e i risultati ottenuti.
Questo fenomeno è stato definito “carewashing”, un termine che indica la discrepanza tra la retorica dell’azienda sulla cultura della cura e la reale esperienza quotidiana dei dipendenti. In parole più semplici, “si predica bene e si razzola male”. Questo atteggiamento ha prodotto una maggiore sfiducia verso le aziende e il mercato del lavoro. Molte stanno offrendo vari benefit per il benessere psico-fisico dei lavoratori, ma poi, pur vantandosene, non effettuano alcuna verifica sugli effetti. Fallendo proprio nella loro essenza di imprenditori, ovvero ricavarne profitto. I costi per l’economia globale sono, infatti, di 8,9 trilioni di dollari, pari al 9% del PIL mondiale e in questa perdita ci rientrano, senz’altro, quelle inebriatesi di “carewashing”. Se non cambia mentalità anche la cultura aziendale, coi fatti e non solo col marketing, non ci si può stupire se i lavoratori si dimettono e scarseggia il personale!