Avvocati in rivolta contro Cassa Forense: abolita la tutela sanitaria dal 1 ottobre

La protesta nasce dal nuovo contratto con il quale le spese mediche a carico dei legali aumenteranno significativamente.

Roma – Gli avvocati italiani sono sul piede di guerra contro Cassa Forense, l’ente previdenziale della categoria, a causa del nuovo contratto triennale stipulato con Unisalute, Poste Italiane e Real Mutua che, di fatto, ha eliminato la tutela sanitaria gratuita per gli iscritti. Dal 1 ottobre 2023, infatti, la categoria non beneficerà più dell’assistenza sanitaria inclusa, e le condizioni proposte dal nuovo accordo risultano altamente svantaggiose.

Il punto focale della protesta è che, con il nuovo contratto, le spese mediche a carico dei legali subiranno un aumento significativo. Il limite di copertura per interventi chirurgici è stato fissato a soli 10mila euro per operazione, e sono state introdotte franchigie variabili tra il 10% e il 20%. Ciò significa che, in molti casi, i costi degli interventi supereranno di gran lunga quanto rimborsato dalla polizza, mettendo a rischio la sostenibilità finanziaria degli avvocati che dovranno affrontare cure mediche costose. Per chi volesse sottoscrivere una polizza integrativa, la situazione non migliora: i premi assicurativi sono aumentati del 30% rispetto al precedente contratto, e sono stati introdotti oneri aggiuntivi anche per visite specialistiche e diagnostiche.

La nuova polizza prevede franchigie del 25% per esami diagnostici di alto livello e un minimo non indennizzabile di 40 o 60, euro anche in convenzione diretta. In pratica, i legali dovranno sostenere di tasca propria una parte consistente delle spese sanitarie, rendendo la polizza meno efficace e meno accessibile rispetto al passato. Le cure oncologiche, altro punto dolente, non saranno più coperte integralmente: anche queste diventeranno a carico degli avvocati, aggiungendo ulteriore pressione economica su una categoria professionale già duramente colpita dalle difficoltà del sistema giudiziario italiano.

Le domande sollevate dagli avvocati sono molte, e al centro della polemica vi è la decisione di Cassa Forense di firmare un contratto tanto svantaggioso. A maggior ragione se si considera che, dallo stesso anno, i contributi minimi obbligatori per gli avvocati sono stati aumentati a 4.300 euro. Molti si chiedono come sia possibile che, nonostante l’aumento delle entrate derivanti dai contributi, la Cassa Forense abbia scelto di ridurre così drasticamente le tutele sanitarie. La questione è resa ancor più spinosa dal confronto con i contratti sanitari di altre categorie professionali. Notai e commercialisti, ad esempio, continuano a beneficiare di tutele sanitarie gratuite e decisamente più vantaggiose, il che fa sorgere ulteriori dubbi sulla gestione del welfare riservato agli avvocati.

Gli avvocati, che già soffrono per le difficoltà economiche del settore giustizia, vedono questa decisione come un’ulteriore penalizzazione. L’impatto sociale potrebbe essere rilevante: molti professionisti, di fronte alla prospettiva di dover sostenere autonomamente ingenti spese mediche, potrebbero rivolgersi al sistema sanitario pubblico, contribuendo così ad appesantirne ulteriormente il carico. In un contesto già segnato da lunghe liste d’attesa e risorse limitate, questo potrebbe generare ulteriori disagi non solo per gli avvocati, ma per la popolazione in generale. Le voci di protesta si stanno moltiplicando, con numerosi avvocati che chiedono un intervento tempestivo da parte di Cassa Forense per rinegoziare il contratto e ripristinare un’adeguata copertura sanitaria. La questione rimane aperta, e il malcontento è destinato a crescere se non verranno fornite risposte concrete ai legittimi interrogativi posti dai professionisti del settore legale.

La Cassa Forense, alla quale tutti gli avvocati italiani devono essere iscritti per legge, impone una contribuzione minima obbligatoria a tutti i professionisti di qualsiasi età e in qualsiasi condizione reddituale. Questo vuol dire che non esistono aliquote a seconda del volume d’affari e della condizione economica dell’avvocato: devono versare i contributi tutti i professionisti iscritti. La pena per il mancato pagamento è la cancellazione dall’albo. Un numero sempre maggiore di legali sostiene invece che il contributo vada reso progressivo, in particolare in considerazione del fatto che sono i giovani professionisti, più inesperti e con un giro di affari molto minore, a soffrire maggiormente dei versamenti. Tanto che diversi avvocati nei primi anni di attività sono costretti, oggi più di ieri, a ritirarsi.

FOTO ANSA/ANGELO CARCONI

In una delle tante cause intentate contro il pagamento dei contributi alla Cassa Forense, il Tribunale di Roma ha però risposto in senso favorevole alla Cassa e dichiarando la piena legittimità dei versamenti. I giudici della Capitale hanno ricordato innanzitutto che è la stessa Costituzione a imporre per qualsiasi tipo di attività lavorativa –e dunque anche per l’avvocatura – la copertura previdenziale per la vecchiaia e l’invalidità. Per il Tribunale il contributo minimo richiesto dalla Cassa non è assimilabile a un’imposizione tributaria, ma per l’appunto a una “prestazione patrimoniale” che garantisce la previdenza dei lavoratori stessi.

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