Arieccolo: D’Alema consiglia il dialogo

Nonostante le parole dell’ex leader comunista l’attuale forza politica di sinistra non sembra orientata al confronto. Piuttosto allo scontro non costruttivo con la maggioranza. E forse anche con gli stessi alleati dell’opposizione. La verità è una sola: scotta ancora forte il deludente risultato elettorale.

Roma – Al via il reclutamento nelle file dei democratici. L’assemblea del Pd approva la modifica dello statuto proposta da Letta e così parte la costituente per aprire il partito ai non iscritti. Il problema delle alleanze, di contro, aleggia come un fantasma nell’assise piddina. Il terzo polo ed il M5s intanto procedono spediti per la propria strada. Dem e grillini cercano di imporsi per la leadership della coalizione. Il Pd è una forza politica che ha un legame con la storia dell’Italia, della sinistra socialista, comunista, democristiana, mentre il Movimento 5 Stelle è una formazione nuova nata con la parola d’ordine del “Vaffa Day” e con il refrain del “non c’é più la destra né la sinistra” mentre poi alla fine con Conte i 5 stelle hanno fatto la scelta di collocarsi nell’area progressista. Mandando a quel paese i vecchi ideali.

D’Alema, ormai da anni fuori dall’orbita del Pd, solleva un problema ed evidenzia la necessità di un “dialogo tra tutte le forze di opposizione”. Ma fino a quando ci sarà la stessa nomenclatura dem ciò non sembra realizzabile:

“…Però – sottolinea l’ex leader comunista – se si vuole fare in modo efficace e coordinata l’opposizione, tentando di costruire una prospettiva di alternativa nel Paese, questo dialogo è inevitabile, se non addirittura necessario…”.

Massimo D’Alema

D’altronde Pd e M5s hanno governato insieme il Paese, pertanto la riflessione d’alemiana, a margine della presentazione del libro di Goffredo Bettini, è quella di ripartire da un’esperienza comune e reale. Vale per l’Italia come per il Lazio. Quel che appare evidente, però, è come il Pd sia ancora sotto lo schock dopo la sconfitta elettorale, ma se non ridiscute partendo dalle proprie radici, mescolate da diversi innesti, non potrà mai diventare cinghia di trasmissione dell’intera sinistra e soggetto di azione politica. Ovvero se il percorso congressuale avrà nella sostanza soltanto lo scopo di cambiare segretario, il fallimento sarà assicurato.

Non si dimentichi, comunque, che il Pd è il prodotto della crisi simmetrica di Dc e Pci e che i dirigenti attuali provengono dai due grandi partiti di massa del tempo che fu. Preistoria politica, forse, ma utile a capire e comprendere il travaglio di due opposte forze, non sufficientemente analizzato per pensare al futuro. Una fusione a freddo di troppe ideologie nate da radici differenti, che se non verrà analiticamente “processata” porterà solo al disperato tentativo di galleggiare. Non a caso D’Alema lo definì “un amalgama mal riuscito”.

Dimenticare i democristiani, o peggio, considerare in tutto e per tutto assimilabili ai post-comunisti i democristiani di sinistra che nel 2007 confluirono, tramite la Margherita, nel partito fondato da Veltroni, sarebbe un errore. Anzi, è da quella differenza che bisognerebbe ripartire, cioè tra chi per mezzo secolo era stato al governo e chi all’opposizione. Ma dovrebbero farlo entrambi, ex-dc ed ex-Ds, per capire meglio le questioni di oggi. Intanto il presidente della Regione EmiliaRomagna, Stefano Bonaccini (proveniente dall’ex Pci), annuncia la sua candidatura come segretario nazionale del Pd. Insomma, una corsa tra “emiliani”. Infatti aspiranti segretari sono anche De Micheli e Schlein. A breve il risultato della corsa.

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