Le due settimane corse dal 2 al 17 maggio 2023 resteranno ben impresse nei cittadini dell’Emilia-Romagna. Un’alluvione, che come una furia si è riversata su paesi e campagne provocando ingenti danni e morti.
Roma – Il Governo ha stanziato, alcuni giorni dopo, più di due miliardi di euro per l’emergenza. È solo un primo provvedimento, perché ne serviranno molti di più. Inoltre è stata annunciata la Cassa integrazione in deroga fino a 90 giorni per i lavoratori delle imprese colpite dalla calamità, oltre a un contributo di 110 milioni di euro. Sono stati sospesi, infine, i versamenti tributari e contributivi fino al 31 agosto con la ripresa dei pagamenti fino al 20 novembre. Ma è stato proprio inaspettato un disastro del genere?
Nell’estate di due anni fa Greenpeace – organizzazione non governativa e ambientalista per la difesa del clima, dell’interruzione dei test nucleari e dell’ambiente in generale – pubblicò un rapporto sulla crisi del clima e sulle conseguenze, anche economiche, per l’Italia. Fu segnalato che il 90% dei Comuni italiani sono a rischio di frane o alluvioni. Praticamente 7,5 milioni di persone, oltre il12% della popolazione, come avere la fossa già scavata. La crisi climatica degli ultimi tempi ha inasprito il fenomeno, con l’alternarsi di picchi di siccità e precipitazioni intense. Il danno economico, dal 2013 al 2019, è stato pari a 20,3 miliardi di euro, più o meno 3 miliardi di euro annui. E la regione che ha subito più traumi di questo tipo è stata proprio l’Emilia-Romagna.
Il problema è che solo il 10% dei danni è stato risarcito alle Regioni dallo Stato. Quindi ai territori colpiti sono giunti circa 2,4 miliardi di euro. È come restare inabilitato a vita, se non viene data una soluzione concreta e reale. La prevenzione è un tema valido solo durante le passerelle televisive ed elettorali da parte dei politici di turno. Nei fatti i risultati sono molto deludenti. Nello stesso periodo i fondi per la prevenzione sono stati di 2,1 miliardi di euro. Ovvero 1/10 dei danni subiti. Se qualcuno ha mostrato stupore per il disastro in Emilia-Romagna o è distratto, nella migliore delle ipotesi, o è disonesto intellettualmente ed incompetente, nella peggiore.
Secondo i dati di Legambiente – associazione ambientalista antinuclearista, sorta negli anni ’70 – l’anno scorso si sono verificate 62 alluvioni. Sommate a quelle registrate dal 2010 in avanti, salgono a 510. Numeri terrificanti, che provocano brividi di terrore lungo la schiena. Vien da sorridere con amarezza quando esponenti come quelli di Ultima Generazione – attivisti che protestano contro l‘establishment per l’emergenza climatica – ricordano questi dati alla politica, facendo gesti plateali come imbrattare i beni archeologici e artistici del nostro Paese. Gesti che provocano gli strali dei nostri maître à penser e delle istituzioni. Come se fino a oggi fossimo stati in grado di salvaguardarli. Ipocrisia allo stato puro. Sono detestati dai governi e, spesso, non risultano simpatici nemmeno ai cittadini.
Eppure sono stati difesi dal portavoce del segretario dell’ONU, Antonio Guterres, con una dichiarazione alla stampa: “Gli attivisti climatici dei gruppi come Ultima Generazione sono una voce morale e vanno protetti”. I fatti parlano chiaro, non lasciandoci alternative. In Emilia-Romagna sono caduti 250 litri d’acqua al metro quadrato. Urgono soluzioni immediate, non si può più temporeggiare. Iniziando da una legge sul clima e contro il consumo di suolo. La protezione idrogeologica del territorio dovrebbe essere il primo tema di ogni schieramento politico, senza pregiudiziali ideologiche. Perché di questo passo, a questo ritmo, non avremmo più nemmeno il tempo di schierarci da una parte o dall’altra: ci sarà un metro di terreno assicurato per tutti, giovani e anziani.