Arrivata a Roma alla ricerca della madre, l’austriaca si è persa tra droga e prostituzione. L’omicidio nel 2001 sotto il ponte Matteotti. L’ultima frequentazione era un galeotto mai identificato.
ROMA – Era venuta dall’Austria per cercare la mamma che l’aveva abbandonata ancora bambina ma trovava la morte sotto un ponte. La mano assassina è rimasta impunita. L’omicidio di Margarete Wilfling, austriaca di 36 anni originaria di Graz, fuggita da casa per ritrovare le sue radici materne, è rimasto uno dei tanti casi freddi, cold-case in lingua inglese, che occupano ampi spazi negli scaffali dell’archivio penale della Procura capitolina. La donna in questione fu soffocata con un oggetto morbido premuto sulla bocca e accoltellata con una decina di fendenti alla testa e al collo in quella terribile alba del 17 marzo 2001 sotto ponte Matteotti.
La vittima, bellissima, bionda, corpo perfetto, ottima istruzione, proveniva da buona famiglia ma era vissuta senza la madre che l’aveva abbandonata in tenera età. Per cercare la genitrice si era trasferita appena sedicenne a Roma dove pare che la madre si fosse stabilita forse con un uomo di cui si sarebbe innamorata. La giovane però non era riuscita a trovarla e lo sconforto l’aveva spinta a cercare rifugio nella droga e per pagarsi le dosi, via via maggiori, aveva subito qualsiasi genere di umiliazioni arrivando a prostituirsi prima per poche decine di migliaia di lire, poi per l’equivalente di pochi euro. Un immigrato aveva dato l’allarme al 113 e sul posto si era recato l’equipaggio della Volante “Aquila 404” che rilevava il cadavere di Margarete in posizione fetale, il volto insanguinato riverso sui cartoni forse a seguito di un estremo tentativo di difendersi. Tossicomani e barboni furono i primi ad essere interrogati dai poliziotti e avevano raccontato ciò che sapevano della donna. Nulla d’importante.
A riconoscere il cadavere era stata Carmela Melara, compagna di merende di Margarete, che aveva riferito agli inquirenti e ai giornalisti alcuni particolari degni di nota:
”Eravamo amiche – disse la donna – Di lei ricordo le cose belle, quando annavamo al mare, o a balla’. All’inizio s’era messa con uno ricco, il barone che c’ha il castelletto a Ponte Milvio, e faceva una vita agiata…Poi lui se n’era annato e Margarete s’era ritrovata per strada e prima con la Sambuca poi con l’eroina il passo verso la perdizione è stato breve. Si prostituiva per pagarsi le dosi, ormai era andata…”.
La vittima aveva incontrato un uomo senza fissa dimora, tale Giovanni Leone, 56 anni, pugliese, parcheggiatore abusivo da anni alloggiato dentro la sua Fiat Uno verde parcheggiata nei pressi del cimitero Verano. Il clochard pare fosse assiduo frequentatore di giovani donne tossicomani e affette da malattie sessuali. I poliziotti interrogarono anche lui sulla scorta di un paio di indizi niente affatto marginali: nelle ore successive al delitto Leone aveva cambiato aria trasferendosi a Ginosa, in provincia di Taranto, dove la madre si era affrettata a gettare un camicione bianco del figlio indossato sotto una giacca sporca di sangue:
”Sono innocente, lo giuro – dirà Leone in lacrime durante il processo – Stavamo insieme da tre anni, le volevo bene. Facevamo l’amore, la pagavo, la rispettavo. Una settimana prima però litigammo, perché non le diedi i soldi per la droga. E le mollai uno schiaffo spaccandole un labbro, tutto qua”.
Leone venne assolto per non aver commesso il fatto. Margarete pare avesse una seconda relazione con Franco, un tassista romano con il quale la poveretta aveva convissuto per qualche mese prima che l’uomo la buttasse fuori di casa. Il tassinaro era stato prosciolto. I testimoni che conoscevano la vittima avevano fatto anche un terzo nome:
”L’ultima volta l’abbiamo vista con Alfred 3 lacrime”, dissero gli sbandati di ponte Matteotti. L’uomo pare fosse un criminale vero con 15 anni di galera sul groppone per omicidio. Lo chiamavano così perché si era fatto tatuare tre lacrime sotto l’occhio destro, 5 anni di carcere per ogni lacrima. Le ricerche del galeotto di ponte Matteotti furono affidate ai vigili urbani e di lui non si seppe più nulla. Possibile che un tatuaggio così potesse passare inosservato fra confidenti ed ex detenuti? Sulle rive del Tevere Alfred 3 lacrime era piuttosto “famoso” e si vantava di averne accoppati più d’uno. Possibile che non si riuscì ad identificarlo?