Il Covid ha di fatto introdotto lo smart working, ma essere sempre “sul pezzo” crea dipendenza e uccide la produttività.
Roma – Il diritto alla disconnessione è possibile? Da quando della tecnologia non se ne può fare a meno, nemmeno per… pisciare, molti si sentono talmente rapiti da questa moderna e terribile dea, che continuano a lavorare anche dopo il turno lavorativo. Questo stato può trasformarsi in una vera e propria sindrome, definita dipendenza da lavoro. Ovvero un disturbo ossessivo-compulsivo, un comportamento patologico di un soggetto troppo dedito al dovere, che mette in secondo piano la vita sociale e familiare sino a provocare danni a sé stesso, al coniuge e ai figli. Questi persone si fanno fagocitare da un circuito fatto di WhatApp, mail, telefonate, fax e se ci fossero i piccioni viaggiatori utilizzerebbero anche quelli, senza remore. Essere sempre sul “pezzo”, laborioso verso il lavoro h. 24/7, in pratica tutta la settimana, è una strada che porta direttamente al “burnout” nella migliore delle ipotesi o a disturbi psichiatrici nel peggiore.
Di questi argomenti si è discusso nel corso di un incontro dal titolo “L’impatto invisibile del digitale”, tenutosi il 9 ottobre scorso, a cura di “Green Media Lab. Scopo dell’evento è stato lo studio dell’impatto sociale e ambientale che ha il mondo digitale e, soprattutto, individuare come lo sviluppo tecnologico di questi ultimi anni ha spinto gli individui a condurre una quotidianità sempre più rivolta all’iperconnessione e alla cultura del “qui e ora”. Per la cronaca, “Green Media Lab” è una Media Relation e Digital Communication Company il cui obiettivo è quello di supportare clienti e partner nell’affrontare le sfide del futuro, attraverso strategie di comunicazione e manageriali efficaci e coerenti.
Si è sviluppato un modo di pensare e una cultura 24/7 che, in realtà, ha fatto calare la produttività. E’ completamente assente la concezione del riposo, per cui un uso senza consapevolezza della tecnologia produce dei costi umani notevoli. A livello istituzionale, se non si è giunti a legiferare una serie di norme, quantomeno sono state assunte delle posizioni come quelle del Consiglio Europeo che ha invitato i singoli Stati ad adottare misure per affrontare l’impatto del lavoro precario e della connessione estrema sulla salute mentale. Inoltre, di considerare il diritto alla disconnessione come misura preventiva per il benessere mentale del lavoratore.
E in Italia, come siamo messi su questo argomento? Galeotto è stato il Covid, che praticamente ha introdotto il lavoro a distanza nel nostro Paese, nel senso che la Legge del 6 maggio 2021 ha regolamentato il diritto alla disconnessione in maniera più organizzata. In questa legge viene enunciato in maniera chiara che il diritto alla disconnessione, come recita il testo “è necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi. I contratti di lavoro, tranne accordi specifici, parlano chiaro sulla reperibilità e, quindi, si può pretendere, senza ombra di dubbio, che una volta usciti dall’ufficio, si venga lasciati in pace. Si ha il diritto, quindi, di spegnere i pc, tablet e smartphone aziendali senza temere strascichi di sorta. Queste disposizioni oltre ad essere ratificate dalla legge, possono valere anche nel caso di contenzioso giudiziario davanti ad un giudice del lavoro. Il pericolo, comunque, è sempre lo stesso: la tecnologia nata per servire l’uomo, in realtà lo sta asservendo!