Le lavoratrici stagionali che raccolgono frutta e verdura provengono dall’est Europa o dai Paesi extra-Ue e sono soggette spesso a sfruttamento ai limiti dello stato schiavile.
I lavori agricoli stagionali per raccogliere frutta e verdure, quasi sempre, sono svolti da stranieri, in maggioranza donne, provenienti da Bulgaria, Romania, altri Paesi dell’est europeo e anche da quelli extraeuropei. Sono donne silenziose, che spesso hanno lasciato il loro figli a casa coi nonni o altri parenti nell’età adolescenziale.
Quando ritornano in patria stentano a riconoscerli, tanto sono rapidi i mutamenti a quella età, avvertendo un certo distacco perché sono mancate in un momento importante del loro sviluppo. Sono madri fantasma che nessuno vede, non perché sono invisibili come i… veri fantasmi, ma perché non vengono, volutamente, notate e raccontate, in primis dalla grande stampa e, in secondo luogo, dal modo di pensare della collettività. Si tratta di donne, madri lontane che con dolore hanno lasciato bimbi piccoli per lavorare nelle nostre campagne, i cui frutti giungono sulle nostre tavole. Sarebbe ora di ricordarselo quando affettiamo una pesca o una zucchina. Di questi argomenti ha trattato la giornalista Stefania Prandi nel suo interessante libro “Le madri lontane”. Si narra di una vera e propria lotta per la sopravvivenza di madri che lasciano i loro Paese natii nella speranza di una vita migliore, per assicurare ai loro cari un futuro decente. Se emigrano è perché le loro condizioni sono disastrate e non hanno alternative.
La filiera agro-alimentare ha bisogno di molto manodopera stagionale, altrimenti il settore rischierebbe la chiusura. Italia, Spagna, Germania e Francia sono i Paesi richiedenti. Ma queste persone quando giungono a destinazione, non trovano ad accoglierle tappeti in loro onore, ma, quasi sempre soprusi, abusi e discriminazione. Soprattutto nel Belpaese dove il settore agro-alimentare fa uso di lavoro nero e situazioni che il VI Rapporto agromafie e caporalato, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto della FLAI-CGIL (Federazione Lavoratori Agro-Industria della CGIL, il maggior sindacato italiano) ha considerato di sfruttamento se non di “para-schiavismo”. Com’è noto alle cronache quotidiane, la manodopera straniera viene gestita dal caporalato, ovvero un’intermediazione illegale e sfruttamento lavorativo, prevalentemente in agricoltura, una vera e propria piaga sociale, da cui non si riesce a guarire.
A pagarne il prezzo più alto sono i lavoratori più vulnerabili, in particolare le donne. Le condizioni di bracciante agricolo stagionale e di migrante, di per sé testimoniano assenza di qualsiasi tutela lavorativa e di essere vittima di sfruttamento. Se si aggiunge l’essere donne, si è soggetti, anche a molestie e abusi sessuali perpetrati dai caporali o datori di lavoro. Inoltre, se si è madri di figli piccoli si associa il dolore per la lontananza dai propri cari. Lavorare nei campi richiede molta fatica e, spesso, si è esposti ai pesticidi usati in agricoltura molto nocivi per la salute umana. Paradossalmente questo aspetto deleterio consente, però, alle donne di staccare e di tornare una volta all’anno al proprio Paese di origine. Cosa che non accade con le lavoratrici domestiche, quasi tutte proveniente dall’est Europa. E’ un settore molto eterogeneo, composto da colf e dalle cosiddette badanti, dove sussiste molta irregolarità. In pratica sono occupate h24, per cui non hanno possibilità di gestire il proprio tempo. Immolate sull’altare dell’opulenza occidentale, che si lava la coscienza per la sua incapacità di accudire gli anziani di casa.
Queste povere madri oltre a vivere una condizione di sfruttamento, sono costrette a subire la scarsa considerazione della famiglia d’origine a causa della loro assenza e l’accusa di inadempienza ai loro doveri familiari. Inoltre, per quanto riguarda le badanti, questo disagio si lega all’assorbimento emotivo che un lavoro di questo tipo genera, come tutti i lavori assistenziali. Recenti ricerche hanno dimostrato che in questa categoria di lavoratrici, è molto alto il rischio di burnout, l’abuso di alcool e di sostanze psicotrope. Tragico destino per chi emigra, è donna, lavoratrice stagionale e/o assistente famigliare: sfruttamento a tutto campo. E l’Europa fa finta di niente!