Istituita dall’Unesco e nota con l’acronimo IDUAI: i dubbi sulla libertà di stampa e sull’accesso agli atti della Pubblica Amministrazione.
Roma – L’accesso alle informazioni è un percorso ancora in salita! Sembra quasi un sortilegio che nella società delle informazioni, sorgano ostacoli di varia natura per accedervici. Un paradosso, pensando alla recente celebrazione, il 28 settembre scorso, della “Giornata per il Diritto di Accesso Universale all’informazione”. Fu adottata nel 2015 dall’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) con la risoluzione 38 C/70, riconfermata, poi, nel 2019 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite ed è nota anche con l’acronimo IDUAI (International Day for Universal Access to Information). Come succede spesso in questi casi le motivazioni sono ammantate di retorica e buoni sentimenti. Lo scopo è garantire ai cittadini globalizzati un accesso equo e universale all’informazione, assurta al ruolo di “merce” importante per l’inclusione sociale e la libertà di espressione. Inoltre, un cittadino informato è più consapevole nelle sue scelte sociali e politiche.
A questi nobili intendimenti è strettamente legata la libertà di stampa. Se ci si sofferma sulle concentrazioni editoriali presenti in ogni Paese cosiddetto “democratico”, per tacere di quelli autocrati, l’autentica libertà di stampa resta una pia illusione. Con l’avvento del web (world wide web, “ragnatela intorno al mondo” sistema che permette la condivisione di documenti ipertestuali e multimediali, sfruttando l’infrastruttura di Internet) si pensava che le idee di qualsiasi tendenza potevano scorrazzare liberamente in quella che è un’immensa prateria. Se ciò da un lato è stato vero all’inizio e, forse, lo è tuttora, visto che si trova il tutto e il suo contrario, i grandi gruppi, per il cambiamento epocale della “rete” mostrano, comunque, gli “artigli”.
E’ da ingenui pensare che aziende come Apple, Google, Microsoft (solo per citarne alcune) non orientino in un certo senso le informazioni, nel migliore dei casi o le censurino, nel peggiore. C’è, tuttavia, un aspetto sottovalutato quando si parla di diritto di accesso alle informazioni. Si tratta di quelle contenute negli atti della Pubblica Amministrazione. E’ vero che esiste il “Freedom of Information Act (FOIA)”, diffuso in oltre 100 paesi al mondo, la normativa che garantisce a chiunque il diritto di accesso alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni, però quando si tratta del nostro Paese tutto diventa misterioso. E l’Osservatorio Civico PNRR” è un gruppo di associazioni, sorto per favorire il monitoraggio civico dei progetti del PNRR, affinché le cittadine e i cittadini possano indagare le criticità del Piano e far sì che risponda alle necessità dei territori.
Ebbene, è stata inoltrata la quinta iniziativa di accesso agli atti, perché, finora, ancora non sono state comunicate nel dettaglio le spese già sostenute per ogni progetto finanziato con i fondi europei. In base ai dati a disposizione si tratta di 51,4 miliardi (mica noccioline!), di cui il 26% assegnato al Belpaese. Sapere, quindi, come sono stati utilizzati e a che scopo è il minimo vitale in una democrazia. L’attività della società civile intorno a questo tema qualche risultato lo ha ottenuto. Grazie ad associazioni come l’“Osservatorio civico sul PNRR”, “Riparte il Futuro” (organizzazione no profit per la trasparenza, la certezza del diritto e la lotta alla corruzione) e altre ancora, la società civile è stata introdotta nella “Cabina di Regia”, dove si prendono le decisioni sull’assegnazione e gestione dei fondi. Si spera che abbia un ruolo decisionale e non solo consultivo, come spesso succede!