Siamo ridotti male e non c’è verso di rialzarci dopo le ripetute cadute. Chi dice il contrario è fuori di sé o non ha il senso della realtà. Inutile parlare di spingere l’economia con le tasse alle stelle e con lo spauracchio dei prossimi licenziamenti. Dai palazzi della politica nessuna prospettiva concreta
Roma – Lo sappiamo tutti in che situazione ci troviamo. Ce lo ricorda in continuazione l’Istat con i suoi freddi dati che sono come lame roventi sui poveri corpi dei cittadini inermi e stremati dalla pandemia.
Disoccupazione in aumento, così come la pressione fiscale, imprese che chiudono per sempre. Ed infatti molta preoccupazione, per la tenuta sociale del Paese, è stata espressa dai vescovi, riunitisi per la sessione primaverile del Consiglio Episcopale Permanente nel marzo scorso.
E’ in atto l’esplosione di vere e proprie “faglie sociali”, tra i più ricchi e i sempre più poveri (fra cui rientrano in numero crescente lavoratori e piccoli imprenditori del ceto medio), tra donne e uomini, tra anziani e giovani. Bisogna evitare che la forbice delle disuguaglianze continui ad allargarsi, recidendo certezze e prospettive, compromettendo lo sviluppo dell’intero sistema nazionale e gettando nelle braccia della criminalità e dell’usura chi non vede una via d’uscita.
Di fronte a questo i Vescovi hanno ribadito la necessità di politiche adeguate e coraggiose, capaci di sostenere cittadini e famiglie, in particolare i più fragili, e di dare anima e corpo alla ripresa.
È indispensabile promuovere, per quanti si trovano in situazioni debitorie, un’efficace rete di supporto e di consiglio che permetta loro di orientarsi correttamente ai primi segnali di crisi senza attendere l’aggravarsi di situazioni difficili.
E’ necessario, poi, elaborare progetti innovativi ed efficaci che aiutino i piccoli imprenditori la cui attività, pur essendo momentaneamente in crisi, dimostra però una sostenibilità prospettica. Non va dimenticato che la questione occupazionale non può più essere disgiunta da quella ambientale:
“…È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali – evidenzia il Consiglio Permanente dei Vescovi – non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Solo mettendo in campo azioni concertate e concrete si può dunque parlare di futuro in termini realistici e possibili…”.
Un altro aspetto che presenta un carico di apprensione è quello della denatalità. I dati confermano il calo costante delle nascite, che risente delle conseguenze socio-economiche della pandemia e del clima di
disagio e incertezza che essa porta con sé. Per questo, appare quanto mai necessario
lavorare, ognuno nel proprio ambito di competenza, per restituire fiducia e speranza ai giovani.
Su di loro e sui più piccoli grava inoltre la scure della povertà educativa, che sta causando nuove diversificazioni tra Nord, Centro e Sud e nuovi gap nell’accesso
all’istruzione.
Occorre impegnarsi perché nessuno resti indietro, nemmeno nel sistema scolastico. Il futuro comincia anche da qui. Sul piano sanitario, i vescovi hanno ribadito
l’importanza della campagna vaccinale, da sostenere e implementare, a beneficio della
collettività.
La messa a disposizione delle strutture edilizie delle Chiese che sono in Italia
vuole essere un nuovo contributo di carità, in continuità con un cammino già avviato in tal
senso presso numerose Diocesi. Lodevoli proposte ed analisi.
Ma per quanto riguarda il contributo di carità ne avremmo preferito uno in moneta sonante scaturito dai versamenti Imu di cui la Chiesa è stata considerata sempre esente, forse per “intercessione divina”.
Non rispettando una sentenza della Corte di Giustizia dell’UE nel 2018, in cui si dichiarava che il Vaticano non aveva alcun diritto all’esenzione ed invitava lo Stato Italiano a recuperare i contributi non versati.
Altro che manovra finanziaria, altro che Recovery Plan, altro che Pnrr (piano nazionale di ripresa e resilienza) appena varato dal governo di Super-Mario.
L’acronimo di quest’ultimo sembra più il suono onomatopeico di una pernacchia, che l’auspicio di un futuro radioso. Ma tant’è. Speriamo bene: altrimenti è come gridare “al lupo, al lupo”.