L’aspetto psichiatrico, parte integrante del fenomeno, rischia di essere fuorviante poichè nei femminicidi gli assassini, spesso, mostrano una lucidità spietata. Altro che pazzi.
Salute mentale e crimini, qual è il nesso? Il 10 ottobre si è svolta a Palermo la “Giornata Mondiale della salute mentale” a cura della Fondazione Dragotto, in una giornata di cielo nuvoloso, con qualche schiarita e un tiepido sole alternatosi a momenti in cui le nuvole sono apparse minacciose, ma Giove Pluvio si è astenuto dalle sue bellicose intenzioni. La Fondazione ha come obiettivo la promozione e la valorizzazione della Sicilia attraverso attività culturali ed artistiche che hanno come scopo iniziative di utilità sociale.
Tra i relatori Flaminia Bolzan, criminologa e psicologa, nonché noto volto televisivo. È tra le professioniste più conosciute in Italia per l’analisi della cronaca nera e la divulgazione su temi di psicologia e criminologia. Il suo intervento si è incentrato sul rapporto tra malattia mentale e femminicidi. Ignorare questo aspetto è come cancellare l’opzione di poter prevenire buona parte dei casi di cronaca nera, che sconvolgono l’opinione pubblica. Intervenire tempestivamente in questo ambito offre un aiuto non solo ai pazienti ma anche alle loro famiglie spesso devastate da un pericolo latente e subdolo.
Secondo le statistiche nel 2024 oltre il 30% degli omicidi intenzionali hanno riguardato le donne che, nella gran parte dei casi sono state vittime di un compagno o ex. Ossia essersi allevata la serpe in seno, il cui veleno fatale deflagra in una relazione sentimentale malata! Sentimenti quali la gelosia, il possesso, comportamenti come il controllo non sono sufficienti a fornire un quadro completo delle dinamiche che portano al gravissimo reato.

A ben vedere le statistiche forensi 1/3 delle uccisioni avvenute in famiglia è strettamente legato a gravi problemi di salute mentale: psicosi, disturbi dell’umore e gravi disturbi della personalità. Stabilire la responsabilità individuale e la malattia mentale è fondamentale. I tribunali per dirimere la faccenda si affidano a perizie psichiatriche per decidere il livello della patologia negli attori coinvolti. E’ consuetudine, tuttavia, da parte dell’opinione pubblica, considerare le perizie psichiatriche giudiziarie una sorta di scorciatoia percorsa dalle difese dell’imputato per avere sconti di pena.
Perdendo di vista il nesso tra lo stato della patologia mentale e l’atto commesso. Non significa che ogni omicida sia un “pazzo”, tutt’altro. Molti, infatti, manifestano una lucidità spietata e la loro azione coercitiva è l’effetto di un paradigma culturale fondato sulla sopraffazione. Sottovalutare la malattia mentale nei casi di omicidi, vuol dire nascondere un aspetto essenziale del fenomeno. Ci sono, infatti, assassini che agiscono in preda a deliri oppressivi, che una terapia medica, se diagnosticati in tempo, avrebbe, quantomeno, potuto contenere.
E’ questo l’elemento nuovo emerso nel convegno, ossia il fenomeno, oltre ad essere un problema sociale è anche sanitario, perché l’aspetto psichiatrico è fondamentale nella dinamica. E’ necessario, dunque, un intervento duplice: strumenti di protezione per le donne e competenze del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) per impedire che le malattie mentali gravi diventino strumenti di morte.
Qualsiasi azione che possa arginare i femminicidi è utile, purché si metta fino allo scempio. Considerare l’aspetto psichiatrico parte integrante del fenomeno, tuttavia, rischia di essere fuorviante. Nel senso che quest’aspetto è la condizione estrema di un modello culturale in cui dominio e annientamento sono valori fondanti. Gli interrogativi rimangono molteplici.