L’abbattimento degli alberi cancella l’ombra naturale e manipola i cicli delle precipitazioni, aumentando gli incendi e le sollecitazioni termiche. E aumentano le vittime.
La deforestazione, la strage silenziosa di mezzo milioni di decessi. La deforestazione, ossia la distruzione e l’abbattimento sistematico di alberi, produce una serie di danni non solo all’ambiente ma anche alle persone. Le cause sono molteplici, tra cui il sovrasfruttamento eccessivo da parte dell’agricoltura, gli allevamenti intensivi e lo sfruttamento minerario ed edilizio. Tutto a vantaggio delle lobby del legname, delle costruzioni e dei latifondisti.
Si tratta di aree geografiche ricche di biodiversità, che, in questo modo, subiscono il processo di annientamento. La distruzione delle foreste viene praticata per avere a disposizione terre coltivabili soprattutto in soia e olio di palma, prodotti che vanno a riempire per il 36% le grasse tavole dell’opulento occidente. Così come per caffè, cacao, cuoio e carne. Tutto questo processo distruttivo è la causa di molti decessi tra i cittadini.
Come ha confermato uno studio apparso su “Nature Climate Change”, una rivista scientifica mensile, con sede nel Regno Unito, che tratta tutti gli aspetti della ricerca sul riscaldamento globale e i suoi effetti. Sono emersi dati terrificanti: più di mezzo milione di decessi per la deforestane tra il 2001 e il 2020. L’innalzamento delle temperature e la mancanza di verde hanno tramutato gli habitat in camere di calore da provocare la morte. La deforestazione è, quindi, uno spietato killer, conosciuto alle autorità investigative che, però, tra pressapochismo e rallentamenti non riescono a catturare l’artefice della mattanza.

L’abbattimento degli alberi cancella l’ombra naturale e manipola i cicli delle precipitazioni, aumentando gli incendi e le sollecitazioni termiche. Da quanto è emerso dallo studio, si è verificato un incremento della temperatura di 3°C che ha interessato 2,6 milioni di persone delle regioni tropicali. Mentre altri 345 milioni di cittadini hanno provato sulla propria pelle la crescita della temperatura. Le piccole realtà rurali dell’Indonesia, Brasile e Congo, in seguito ai cambiamenti climatici, hanno assistito alla scomparsa di ombra e rinfresco naturale. Il caldo è diventato insopportabile, per cui, soprattutto tra gli anziani, sono cresciuti i ricoveri per disturbi cardiovascolari, crampi, stanchezza, svenimenti, gonfiori, difficoltà di respirazione, disidratazione.
Le comunità colpite da ondate di calore anche fino a 45° sono state costrette ad adeguarsi ai cambiamenti, con acqua razionata e scuole chiuse per il caldo oltre le medie. In Sudamerica la deforestazione ha determinato l’isolamento di molte comunità che hanno dovuto lottare per sopravvivere alla fatica, al caldo eccessivo, all’umidità e alla fame. E’ un fenomeno che interessa il pianeta intera. Non è una questione solo locale. Le foreste tropicali, ubicate in Amazzonia, Congo e Indonesia, sono state definite da decenni “polmoni del pianeta”.
Continuare a perseverare nella politica di distruzione, per favorire i “soliti noti”, non potrà che inasprire il numero di morti, carestie e malattie. I “grandi della terra” hanno dimenticato che le foreste assorbono carbonio, difendono la biodiversità e la normale regolazione del clima. Proteggere queste zone significa salvaguardate la vita non solo delle aree interessate, ma di tutto il pianeta.
Ma le istituzioni globali sembrano dormire, ma non si tratta del sonno dei giusti, ma dei vili, di chi non vuol vedere, né sentire. Intanto il disastro continua imperterrito.