Asili nido cercasi: ogni anno la stessa solfa

La precarietà del numero delle strutture di scuola materna è diventata cronica. E non ci sono prospettive volte ad ovviare al grave disagio delle famiglie più giovani.

Con l’inizio dell’anno scolastico si ripropone il problema della carenza di asili nido. Una volta si palesavano, nel mese di settembre, le impressioni. Nel senso che “impressioni di settembre” era un brano cantato, nel 1972, dalla Premiata Forneria Marconi, uno dei gruppi più famose del “progressive rock” italiano”. Oggi si manifestano, al contrario, con l’inizio dell’anno scolastico gli atavici problemi, sempre uguali, sempre quelli: gli asili nido latitano.

Un bel cruccio per le famiglie con bimbi al di sotto dei tre anni. Si fa un gran parlare di denatalità, ma intanto le richieste per gli asili nido sono in aumento, tant’è che l’offerta non riesce a soddisfarle. Secondi i dati diffusi dall’ISTAT il totale dei posti ai nidi, pubblici e privati, sono 366 mila, col solito divario tra Nord e Sud. Sia per questo motivo che per i costi l’iscrizione per molte famiglie è quasi impossibile. I posti disponibili sarebbero 30 ogni 100 bambini, mentre la media europea è del 45%.

Ancora troppo pochi gli asili nido, grandi disagi per le famiglie più giovani

Questa cifra appare irraggiungibile, malgrado gli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza con 3,5 miliardi per 159 mila nuove strutture entro il 2026. Ma la solita malattia cronica italiana sta causando rallentamenti e limitazioni, per cui si brancola nel buio. Ma alla “mala gestio” della “res publica”, sta rispondendo con efficacia la società civile con la creazione di micro nidi e asili in famiglia. I primi sono strutture per la prima infanzia di dimensioni ridotte, progettate per accogliere un numero limitato di bambini (generalmente da 6 a 29) con l’obiettivo di offrire un ambiente più intimo e personalizzato. 

Servono a supportare le famiglie nella cura e nell’educazione dei bambini da 0 a 3 anni, garantendo al contempo la loro socializzazione, stimolazione e sviluppo psicofisico in un contesto sicuro. I secondi sono servizi educativi per la prima infanzia che accolgono piccoli gruppi di bambini (solitamente da 0 a 3 anni) direttamente nell’abitazione di una persona qualificata e professionalmente preparata. Questo modello offre un ambiente più intimo e accogliente rispetto agli asili tradizionali, creando un’atmosfera domestica con un forte legame affettivo, pur mantenendo spazi dedicati al gioco, al pranzo e al riposo.

I nidi in famiglia si caratterizzano per la flessibilità di orari, il numero ridotto di bambini e un costo orario spesso inferiore rispetto a un servizio di babysitter, promuovendo la conciliazione tra lavoro e famiglia per i genitori. E’ un tentativo per adeguarsi agli standard europei. In Italia solo il Trentino-Alto Adige copre il 45% dei servizi per l’infanzia, mentre sul territorio nazionale si arranca con affanno. Ben vengano queste iniziative della società civile, se riescono a soddisfare i bisogni di tante famiglie. Forse una maggiore collaborazione tra le varie realtà potrebbe diffondere il modello in altre realtà del Paese.

Il problema che ne frena lo sviluppo, come al solito, è la macchina organizzativa della burocrazia che sembra andare in retromarcia, mentre la società civile va a tutto gas. Per aprire una struttura è come scalare il K2, con una normativa farraginosa e, per giunta, diversa tra le regioni. Inoltre, il costo non è inferiore alle strutture pubbliche. Le stime indicano in 10 mila euro lordi annui il peso sulle famiglie, uno dei più costosi in Europa. Malgrado la vivacità della società civile, contano sempre i soldi: “C’est l’argent qui fait la guerre“!