Se le faccende domestiche si fanno in coppia, cresce anche l’economia

In Italia la partecipazione maschile al lavoro domestico è ancora al minimo in Europa. Una più equa distribuzione potrebbe rilanciare carriera femminile, natalità e crescita economica.

Una delle peculiarità delle società a capitalismo avanzato, almeno fino agli anni ’70, è stata la netta separazione tra il lavoro produttivo e quello riproduttivo. Il primo, in genere, per decisioni scaturite da posizione di potere economico, spettava al maschio. Con questa definizione si intende il lavoro che trasforma risorse in prodotti o servizi che possono essere scambiati o utilizzati.

Una delle peculiarità delle società a capitalismo avanzato, almeno fino agli anni ’70, è stata la netta separazione tra il lavoro produttivo e quello riproduttivo

Il lavoro riproduttivo, al contrario, comprende una vasta gamma di significati che vanno dal lavoro domestico, necessario per la cura degli spazi abitativi, alla riproduzione della specie attraverso processi come la gravidanza, il parto e l’allattamento, fino all’accudimento e all’educazione dei figli, nonché l’assistenza a genitori anziani. Queste mansioni sono state sempre assegnate alle donne per gli stessi rapporti di potere summenzionati. Le uniche condizioni che rientrano nell’ambito naturale sono la gravidanza, il parto e l’allattamento, in cui il maschio non può metterci “becco”, altrimenti, se potesse, interverrebbe anche lì!  Le altre sono tutte imposte dalla struttura socioeconomica.

E’ vero che ci sono stati molti cambiamenti sociali negli ultimi 50 anni grazie al femminismo, ma i rapporti di potere sono sostanzialmente ancora in mano ai maschi. Ma ecco apparire la soluzione, come un coniglio da un cappello. Pare che se le faccende domestiche si facessero in coppia, si può rendere un grande servigio all’economia. Questo solo perché le donne avrebbero più tempo da investire nella carriera. Nella speranza di capovolgere la piramide demografica. Oggi, infatti, gli Stati sono sotto pressione a causa della denatalità, l’emigrazione dei cervelli, l’aumento dei pensionati, con l’Italia uno dei Paesi più vecchi al mondo. Inoltre, secondo stime di Bankitalia entro il 2040 la popolazione “attiva” potrebbe diminuire di oltre 5 milioni, producendo un calo del PIL (Prodotto Interno Lordo) dell’11%. Nemmeno il numero degli immigrati riuscirebbe a fermare la tendenza.

Nel Belpaese manca l’equa distribuzione delle faccende domestiche: l’Italia è ultima tra i Paesi dell’Unione Europa (UE) con un misero 17,1% di partecipazione maschile.

Ora cosa è stato escogitato? Per incrementare le nascite, bisogna cercarle in quella fascia della popolazione più soggetta alla disoccupazione, ossia le donne. Ipotesi geniale! Tuttavia non è un’idea del tutto peregrina se contestualizzata. Nel senso che, una volta distribuito equamente il lavoro domestico e di cura dei figli, bisogna intervenire sulla costruzione di asili nido e a nuovi progetti di cura degli anziani da parte delle istituzioni e sulla maggiore efficacia dei congedi di paternità. I dati a disposizione, infatti, ci suggeriscono che il lavoro riproduttivo contribuisce a rallentare lo sviluppo delle carriere femminili. Il peso del lavoro domestico grava maggiormente sulle spalle delle donne anche nei Paesi più emancipati e con un welfare state avanzato, come nel Nord Europa. Malgrado le ultime generazioni maschili partecipino maggiormente ai lavori di casa e alla cura dei bambini. Nel Belpaese l’equa distribuzione delle faccende domestiche resiste con forza alle novità. Infatti si è piazzato all’ultimo posto tra i Paesi dell’Unione Europa (UE) con un misero 17,1% di partecipazione maschile. Qui l’equa distribuzione dei lavori di casa manifesta di essere un percorso tortuoso e difficile da raggiungere, semmai si realizzerà!