Settimana corta: meno giorni di lavoro, più benessere e produttività

La settimana corta aumenta la motivazione, riduce il burnout e migliora salute mentale e fisica dei lavoratori. Studi in USA, Australia, Regno Unito e Islanda confermano i benefici.

E’ da un po’ che si parla di introdurre la settimana corta nelle aziende. Si tratta di un modello organizzativo che prevede la riduzione dei giorni lavorativi, generalmente da cinque a quattro, senza diminuire la retribuzione o, in alcuni casi, mantenendo il monte ore invariato. Questo modello si basa sulla convinzione che una maggiore efficienza e un miglior equilibrio tra vita privata e professionale, possano incrementare la produttività complessiva e il benessere individuale del lavoratore.

Secondo uno studio, la settimana lavorativa di 4 giorni aumenterebbe la motivazione al lavoro.

Gli studi che confermano questa teoria sono tanti. L’ultimo in ordine di tempo è stato curato dal dipartimento di sociologia del “Boston College”, un’università privata nel Massachusetts, USA. Scopo della ricerca è stato valutare le conseguenze della settimana corta a parità di salario. Ha coinvolto quasi 3 mila lavoratori di 141 organismi distribuiti in Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito, Irlanda e Stati Uniti. Sono stati esaminati vari valori, tra cui appagamento personale, burnout e benessere psico-fisico, sia prima che dopo lo studio. Il gruppo di controllo è stato formato da 285 dipendenti di 12 imprese che non hanno partecipato alla ricerca.

E’ stato dimostrato che la riduzione della settimana lavorativa ha prodotto effetti positivi, quali minori problemi di sonno e di fatica. La ricerca, tuttavia, ha mostrato dei limiti relativi al fatto che il campione sottoposto ad indagine si è offerto volontariamente e ha riguardato Paesi anglofoni. Pur in presenza di dati circoscritti, gli autori dello studio ritengono, comunque, che l’effetto positivo possa essere determinato dall’alimentazione della motivazione al lavoro, frutto della riduzione della settimana. Questa constatazione, che ha bisogno di ulteriori conferme, è stata suffragata dal gruppo di controllo, che non ha rilevato miglioramenti sul proprio benessere rispetto a quello indagato.

Le condizioni che hanno avuto maggiori benefici dalla settimana corta sono il burnout, la gratificazione, la salute mentale.

A livello numerico le condizioni che hanno avuto maggiori benefici sono il burnout, la gratificazione, la salute mentale e, con percentuali più basse, quella fisica. Quest’ultimo aspetto può essere spiegato dal corpo che impiega più tempo per avvertire miglioramenti. Chiaramente non va preso per oro colato il risultato di ricerche di questo genere, proprio perché limitate ad aree circoscritte. Però, sono indicazioni utili per comprendere dove andrà a parare l’organizzazione del lavoro, di cui la settimana corta, con molta probabilità, potrà costituirne il fulcro essenziale.

Per la cronaca, la settimana corta è stata sperimentata e adottata in diversi paesi del mondo, con risultati variabili. Tra i pionieri, l’Islanda ha condotto test significativi, ottenendo risultati positivi sulla produttività e il benessere dei lavoratori. Anche in Italia è stata adottata in diverse aziende e nella Pubblica Amministrazione con esiti, pare, positivi. Sembra che stia cambiando il paradigma culturale alla base dell’organizzazione del lavoro, mettendo al centro il benessere dei lavoratori per raggiungere quello che è il principale obiettivo di un’azienda: la produttività. Inoltre, questo modello sembra essere più consono alla diffusione della tecnologia, con l’automazione e l’Intelligenza Artificiale (IA). Chi vivrà, vedrà!

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