Carlo Alberto dalla Chiesa: il generale che sfidò mafia e terrorismo

La straordinaria vita del generale che combatté mafia e terrorismo: dai successi contro Cosa Nostra alla tragica fine in via Carini, l’eredità di un servitore dello Stato che pagò con la vita la sua lotta per la legalità.

Saluzzo – Carlo Alberto dalla Chiesa nasce il 27 settembre 1920 a Saluzzo, in provincia di Cuneo, da una famiglia della piccola borghesia piemontese. Fin da giovane dimostra una forte inclinazione per il servizio dello Stato e la giustizia. Nel 1942 si laurea in giurisprudenza e, contrariamente ai piani familiari che lo vedevano futuro avvocato, sceglie la carriera militare arruolandosi come allievo ufficiale nella scuola militare di Spoleto.

La sua formazione militare coincide con gli anni più drammatici della Seconda Guerra Mondiale. Diplomatosi sottotenente nel 1941, viene inviato in Jugoslavia nel Montenegro, dove deve affrontare i partigiani locali, guadagnandosi due croci di guerra. Tuttavia, è dopo l’8 settembre 1943 che dalla Chiesa dimostra il suo vero carattere: rifiutando di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, si unisce alla Resistenza nelle Marche, diventando uno dei capi partigiani della regione.

L’ingresso nell’Arma dei Carabinieri

Nel dopoguerra, dalla Chiesa entra nell’Arma dei Carabinieri come tenente a San Benedetto del Tronto. È qui che inizia a delinearsi la sua personalità di investigatore metodico e determinato. Trasferitosi successivamente a Bari, consegue due lauree – in giurisprudenza e scienze politiche – e sposa nel 1946 Dora Fabbo, dalla quale avrà tre figli: Rita, Nando e Simona.

La lotta contro Cosa Nostra: i primi successi (1966-1973)

Il momento cruciale della carriera di Carlo Alberto dalla Chiesa inizia nel 1966, quando riceve l’incarico di contrastare Cosa Nostra in Sicilia. È un periodo di grande fermento per l’organizzazione mafiosa, che sta attraversando una fase di profonda trasformazione e rafforzamento del proprio potere. Con metodi innovativi per l’epoca, dalla Chiesa sviluppa una strategia di intelligence e coordinamento delle forze dell’ordine che porta a risultati straordinari.

Carlo Alberto dalla Chiesa

Tra il 1966 e il 1973, il futuro generale arresta 76 capi mafiosi, infliggendo colpi devastanti all’organizzazione. La sua azione non si limita alla cattura dei singoli criminali ma mira a smantellare la struttura organizzativa di Cosa Nostra, anticipando di decenni l’approccio che sarà poi adottato dai magistrati del pool antimafia.

Il trasferimento in Piemonte e la lotta alle Brigate Rosse

Nel 1973, per i suoi successi, dalla Chiesa viene promosso generale di brigata e trasferito a Torino, dove deve affrontare una nuova emergenza: il terrorismo delle Brigate Rosse. Il capoluogo piemontese è uno dei principali teatri dell’attività terroristica negli anni ’70 e il generale deve sviluppare strategie completamente nuove per contrastare un nemico diverso dalla mafia tradizionale.

La svolta nella lotta al terrorismo arriva con una mossa che dimostrerà il genio tattico di Dalla Chiesa: la conversione di Patrizio Peci. Riuscendo a convincere questo importante esponente delle BR a collaborare con la giustizia, dalla Chiesa ottiene informazioni fondamentali che permettono di infliggere un colpo mortale all’organizzazione terroristica nel 1979. Questo successo gli vale la promozione al grado di generale e, successivamente, la nomina a prefetto.

Il ritorno in Sicilia: una missione impossibile

Nel maggio 1982, all’indomani dell’omicidio del segretario regionale del PCI Pio La Torre – che aveva promosso la legge sui beni confiscati alla mafia – il governo Spadolini decide di inviare dalla Chiesa a Palermo come prefetto con poteri speciali antimafia. È una nomina che nasconde molte contraddizioni: da un lato si vuole dare un segnale forte della determinazione dello Stato, dall’altro gli si negano i mezzi e i poteri necessari per un’azione efficace.

I “cento giorni” a Palermo (dall’1 giugno al 3 settembre 1982) sono caratterizzati dalla frustrazione del generale, che si rende conto di essere stato mandato in una missione quasi impossibile. Nonostante la sua esperienza e determinazione, si trova isolato: non ha sufficienti uomini, mezzi, né il coordinamento delle informazioni necessario per colpire efficacemente la mafia. In più occasioni dichiara pubblicamente di sentirsi “solo” di fronte a un nemico che ha infiltrazioni ovunque.

La strage di via Carini: un delitto che sconvolge l’Italia

La sera del 3 settembre 1982, dalla Chiesa esce dalla prefettura insieme alla seconda moglie, Emanuela Setti Carraro (sposata nel 1981), per recarsi a cena in un ristorante di Mondello. Alle ore 21:15, mentre percorrono via Isidoro Carini a bordo di una Autobianchi A112, vengono affiancati da una BMW e una motocicletta. Gli assassini aprono il fuoco con kalashnikov AK-47, uccidendo sul colpo il generale e la moglie. Anche l’agente di scorta Domenico Russo, che seguiva a distanza, viene raggiunto da una raffica di colpi. Morirà dodici giorni dopo in ospedale.

I corpi senza vita del generale e della moglie

La strage sconvolge l’opinione pubblica italiana. Una mano anonima scrive sul muro del luogo dell’attentato: “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”, frase che diventerà simbolica del dolore e della rabbia per la perdita di un servitore dello Stato.

Le indagini e i processi

Le indagini sull’omicidio di dalla Chiesa si intrecciano strettamente con il maxiprocesso di Palermo, il più importante processo alla mafia della storia italiana. Il procedimento trova le sue basi proprio nel “rapporto sui 162” firmato da dalla Chiesa, che aveva identificato i principali esponenti di Cosa Nostra.

L’8 novembre 1985, nell’ambito del maxiprocesso, l’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo emette un’ordinanza-sentenza che dispone il rinvio a giudizio dei mandanti del delitto. Il processo si conclude il 16 dicembre 1987 con condanne storiche: l’accusa chiede 28 ergastoli (compresi tutti i membri della cupola), quasi 5000 anni di carcere, quasi 24 miliardi di lire di multa.

I processi specifici per l’omicidio dalla Chiesa

Nel 2002 vengono condannati in primo grado, quali esecutori materiali dell’attentato, Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia, entrambi all’ergastolo, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci a 14 anni di reclusione ciascuno.

La strage di via Carini

La sentenza ha condannato all’ergastolo con la cupola Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo e Nino Madonia, riconoscendo la responsabilità dei vertici di Cosa Nostra nell’ordinare l’eliminazione del generale.

Le zone d’ombra: un delitto dai contorni ancora misteriosi

Nonostante le condanne, molti aspetti dell’omicidio dalla Chiesa rimangono avvolti nel mistero. Nella sentenza del 2002 si legge: “Si può senz’altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all’interno delle stesse istituzioni, all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e capacità del generale”.

Dalla Chiesa e la moglie

Le dichiarazioni di alcuni pentiti hanno alimentato sospetti su convergenze di interessi che andavano oltre Cosa Nostra. Il collaboratore di giustizia Tullio Cannella aveva raccontato la lamentela di Pino Greco Scarpuzzedda per aver dovuto organizzare il delitto (“Stu omicidio dalla Chiesa non ci voleva… Ci vorranno minimo dieci anni per riprendere bene la barca”), mentre Gioacchino Pennino aveva parlato di convergenza di interessi esterni a Cosa Nostra.

L’eredità di Carlo Alberto dalla Chiesa

L’omicidio di dalla Chiesa segna una svolta nella lotta dello Stato italiano contro la mafia. Sull’onda emotiva dell’assassinio viene approvata nel 1982 la legge 416bis, la norma sull’associazione mafiosa che trovò per la prima volta larga applicazione nel maxiprocesso.

Il sacrificio del generale contribuisce in modo determinante al cambiamento dell’approccio dello Stato nei confronti della criminalità organizzata. I metodi da lui sviluppati – l’intelligence, il coordinamento delle forze dell’ordine, l’attenzione alla struttura organizzativa dei gruppi criminali piuttosto che ai singoli episodi – diventano la base della moderna lotta antimafia.

Il ricordo istituzionale

Ogni anno, il 3 settembre, l’Italia commemora il sacrificio di Carlo Alberto dalla Chiesa. La sua figura è diventata simbolo della lotta dello Stato contro la criminalità organizzata e il terrorismo, esempio di come il servizio alle istituzioni possa richiedere il sacrificio della vita stessa.

La scuola di formazione dei Carabinieri porta il suo nome, così come numerose strade e piazze in tutta Italia. Ma il ricordo più importante resta quello delle generazioni di investigatori, magistrati e forze dell’ordine che hanno proseguito sulla strada da lui tracciata, portando avanti quella lotta per la legalità che gli è costata la vita.

Carlo Alberto dalla Chiesa rappresenta una figura centrale nella storia della Repubblica italiana. La sua vita è stata un crescendo di sfide sempre più difficili: dalla Resistenza alla lotta contro la mafia, dal contrasto al terrorismo rosso al ritorno in Sicilia per quella che si sarebbe rivelata la sua ultima missione.

Il suo omicidio non è stato solo l’eliminazione di un investigatore scomodo ma un attacco diretto alle istituzioni democratiche. Tuttavia, paradossalmente, la sua morte ha generato una reazione che ha contribuito in modo decisivo alla lotta contro Cosa Nostra negli anni successivi.

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