Sardegna pioniera dell’aborto farmacologico: consultori e casa come nuove opzioni

La Regione diventa la prima del Sud a permettere l’interruzione di gravidanza fuori dagli ospedali, avviando anche la sperimentazione domiciliare per superare l’obiezione di coscienza.

Cagliari – In un’Italia dove l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza resta spesso un percorso a ostacoli tra obiezione di coscienza e disparità territoriali, la Sardegna sceglie di cambiare passo. La Regione ha approvato un provvedimento rivoluzionario che consente la somministrazione della pillola abortiva non solo negli ospedali ma anche nei consultori pubblici e negli ambulatori autorizzati, diventando la prima regione del Sud a recepire pienamente le linee guida nazionali aggiornate nel 2020.

La delibera, promossa dall’assessore alla Sanità Armando Bartolazzi e approvata dalla Giunta regionale, introduce anche una fase sperimentale per l’assunzione domiciliare del farmaco, finora attivata solo in Emilia-Romagna. “Dopo oltre dieci anni di silenzio, la Sardegna compie un grande salto di qualità e si allinea agli standard più avanzati a livello europeo”, ha dichiarato Bartolazzi. “È un cambiamento atteso da anni che ci pone tra le regioni più virtuose sul fronte dei diritti e della modernizzazione dei servizi sanitari”.

I numeri che spiegano l’urgenza

L’iniziativa arriva in risposta a dati preoccupanti: in Sardegna il ricorso all’aborto farmacologico resta al di sotto della media nazionale, con solo il 38,1% delle interruzioni volontarie di gravidanza avvenute con la pillola nel 2022, contro il 51,3% in Italia. Ancora più allarmante è la frequenza del raschiamento, una pratica chirurgica più invasiva, che rappresenta il 21% dei casi sardi, quasi tre volte la media nazionale del 7,2%.

Aborto

Il problema dell’obiezione di coscienza pesa significativamente: in Sardegna oltre il 60% dei ginecologi è obiettore, una situazione che ha portato negli anni a una compressione sistematica del diritto all’aborto legale, creando percorsi ad ostacoli e attese lunghe.

Come funzionerà il nuovo modello

Il nuovo percorso sarà delineato da un tavolo tecnico presso la Direzione generale della Sanità, composto da ginecologi ospedalieri e territoriali, esperti in medicina territoriale e personale amministrativo. Gli ambulatori pubblici e i consultori familiari adeguatamente attrezzati, purché collegati a una struttura ospedaliera e autorizzati dalla Regione, potranno somministrare i due farmaci previsti dal protocollo – mifepristone e prostaglandine – senza alcun costo per le pazienti.

I progetti pilota per l’assunzione domiciliare partiranno nei prossimi mesi in una rete selezionata di consultori pubblici, sempre con presa in carico gratuita garantita dal servizio sanitario pubblico.

Le reazioni dei movimenti

“Siamo soddisfatte ma restiamo caute”, dichiara Carla Porcheddu del collettivo Strajk Kobiet Sardynia. “Questa sperimentazione rappresenta un enorme passo avanti per le nostre comunità. Ma chiediamo che i movimenti e le associazioni transfemministe vengano coinvolti nei tavoli istituzionali”.

Anche il nodo sardo di Non una di meno accoglie positivamente la novità: “È un cambiamento importante, che favorisce una maggiore libertà di autodeterminazione e genera benefici per tutta la sanità pubblica”.

Una scelta di civiltà

“Dopo le dichiarazioni inquietanti di chi ha definito l’aborto in telemedicina ‘disumano’, la decisione della Sardegna rappresenta una risposta netta e concreta”, commenta Federica di Martino, attivista del progetto “Ivg, ho abortito e sto benissimo”. “È una scelta di civiltà. Le persone devono poter decidere se abortire in ospedale, in consultorio o a casa, in base alle proprie condizioni e desideri, non a ostacoli culturali o ideologici”.

Le prime battaglie per il diritto all’aborto

Il nuovo modello sardo punta a ridurre l’invasività delle procedure, ampliare l’offerta territoriale e rispondere concretamente alle richieste di più libertà, sicurezza e meno stigma. Una riforma che, alleggerendo la pressione sugli ospedali e valorizzando i consultori pubblici, contribuisce a ridurre il potere di interdizione dell’obiezione di coscienza e a garantire un reale accesso ai diritti riproduttivi.

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