Aborto: la relazione sulla Legge 194, polemiche sui dati “vecchi e incompleti”

Il numero assoluto aumentato del 3,2% rispetto all’anno precedente, più per le donne straniere (+4,9%) rispetto alle italiane (+2,9%).

Roma – Crescono leggermente gli aborti in Italia. Lo evidenzia l’ultima relazione del Ministero della Salute sull’applicazione della Legge 194/78 trasmessa al Parlamento e pubblicata sul sito Prochoice.it. Ma dopo la trasmissione in Parlamento della relazione sulla 194 sono seguite polemiche, soprattutto sui tempi di realizzazione e sulla completezza dei dati. Per l’associazione Luca Coscioni “la relazione continua a presentare dati vecchi e poco utili, in quanto quelli appena pubblicati sono risalenti al 2022”. Sui ritardi, l’associazione rileva come “entro febbraio di ogni anno il Ministro della sanità debba presentare alle Camere una relazione sull’attuazione della legge”. Il ministero della Salute avrebbe pubblicato il report senza le 32 tabelle con i dati completi e suddivisi per Regioni, soprattutto quelli relativi all’obiezione di coscienza.

Secondo il monitoraggio del Ministero, nel 2022 le interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg) notificate ammontano a 65.661, in crescita del 3,2% sul 2021 quando erano state circa 63mila. Il numero assoluto è aumentato del 3,2% rispetto all’anno precedente, maggiormente per le donne straniere (+4,9%) rispetto alle italiane (+2,9%). Rispetto tuttavia al 2019, l’anno precedente allo scoppio della pandemia Covid-19, in Italia si sono verificati circa 8mila aborti in meno: cinque anni fa erano 73mila. Il dato relativo al ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza è il cosiddetto “tasso di abortività”, che misura il numero di IVG ogni mille donne residenti in Italia con un’età compresa tra i 15 e i 49 anni. Il tasso di abortività del 2022 è risultato pari a 5,6 per mille donne, con un aumento del 5 per cento rispetto al 2021. Il tasso di abortività maggiore riguarda le donne tra i 25 e i 34 anni, come negli anni precedenti.

Il report evidenzia anche che il 92,9 per cento delle donne riesce ad abortire nella propria regione di residenza. Il motivo di trasferimento in altra regione potrebbe essere causato soprattutto dal tasso di ginecologi obiettori di coscienza che però nella relazione è un dato non disponibile regione per regione. Dal rapporto emerge una diminuzione delle IVG chirurgiche, che sono il 46,6% del totale degli interventi, mentre continua ad aumentare il ricorso all’aborto farmacologico. In Italia l’aborto è possibile entro i primi 90 giorni di gravidanza, oltre i 90 giorni si può praticare solo nel caso in cui la gravidanza o il parto possano mettere in pericolo la salute della donna o per gravi malformazioni del feto.

Dalla relazione emerge inoltre come 3 interruzioni volontarie su 100 abbiano riguardato ragazze con meno di 18 anni. Mentre circa un terzo (28 su 100) degli aborti totali interessa donne straniere. E ancora, nel confronto con gli altri Stati dell’Unione Europea, l’Italia si conferma tra i Paesi dove avvengono meno interruzioni volontarie di gravidanza. In testa alla classifica c’è la Francia che nel 2022 ha registrato oltre 200mila aborti, il doppio rispetto a Germania e Spagna, entrambe intorno ai 100mila. In Polonia al contrario le interruzioni notificate allo Stato risultano appena 161.

Per l’associazione Pro Vita & Famiglia la relazione ministeriale sulla 194 relativa al 2022 rivela “un trend drammatico: aumentano gli aborti totali e il tasso abortivo, aumentano gli aborti eugenetici oltre il 3° mese, aumentano gli aborti recidivi e gli aborti delle minorenni, gli aborti farmacologici con RU486, statisticamente più rischiosi per la salute della donna, superano gli aborti chirurgici, certificando quella privatizzazione dell’aborto che abbandona le donne più fragili alla solitudine, o peggio alla pressione di chi gli sta intorno, che la Legge 194 avrebbero dovuto scongiurare. I dati della relazione – si sottolinea – smentiscono una volta per tutte le fake news sulla difficoltà di abortire in Italia a causa dei medici obiettori o del volontariato pro vita: diminuiscono i tempi di attesa e gli aborti fuori provincia e regione, calando anche il numero di aborti settimanali praticati dal personale non obiettore”.

Proprio questi dati, sostiene Pro Vita, “ci dicono che lo Stato dovrebbe investire ancor più sulla collaborazione tra presidi socio-sanitari e associazioni di sostegno alla maternità difficile e alla natalità, previsto dall’articolo 2 della Legge 194 e attaccato per motivi ideologici dalla Sinistra e dai collettivi femministi. La Relazione continua a omettere i dati sulle complicanze post-aborto a breve e lungo termine per la salute delle donne, impedendo la formazione di un consenso realmente informato fondamentale in ambito sanitario”.

Pro Vita & Famiglia chiede “con urgenza al Governo e al Parlamento di mettere finalmente in atto una strategia concreta per rilanciare in Italia una forte cultura della Vita, fatta sia di interventi socio-economici per favorire la conciliazione tra maternità e lavoro e dare alternative concrete all’aborto che di campagne di sensibilizzazione, soprattutto dei giovani, sulla dignità della Vita umana sin dal concepimento e sull’impossibilità di trasformare l’aborto in un mezzo di contraccezione o di controllo delle nascite, come vietato dalla stessa Legge 194″.

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A tal proposito riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Egregio Direttore,

Leggo sulla sua Testata l’articolo relativo alla relazione sulla attuazione della legge 194/78 e le chiedo cortesemente di poter replicare. Da attivista pro-life , ma soprattutto da donna, resto stupita dall’ aridità del contesto: un profluvio di cifre, dati, numeri, ma mai un’osservazione su chi ci sia dietro quell’apparente oggettività. Nessuno che citi e si occupi, dovrei dire si preoccupi, della donna, del dolore e delle difficoltà che si trova ad affrontare in solitudine, quando si presenta una gravidanza inaspettata. Nessuno che dica la verità sulla sindrome post abortiva, che attanaglia e divora la mamma mancata, per decenni.

Parlo a ragion veduta, perché nel mio servizio di pro-life ormai più che decennale, incontro, leggo, ascolto il dramma di chi non riesce a perdonarsi per quell’aborto, spesso determinato dall’abbandono del partner, dalla violenza dei genitori, dalla superficialità e dalla non conoscenza. Quante donne mi dicono ” Se avessi saputo!”.

Ed è questo il vero diritto che dovrebbe essere riconosciuto ad una donna incinta: il diritto di sapere, non solo che rimpiangerà per sempre la decisione presa, ma anche che quella ” interruzione di gravidanza” è in realtà l’eliminazione di suo figlio, con un cuore che batte a 20 giorni dal concepimento. Così si spiega il dolore della madre mancata, che sa di attendere un bimbo e non un ” grumo di cellule”: altrimenti perché soffrirebbe?

Che dire poi della figura del padre, relegato a nulla, sminuito nel suo ruolo, per l’ansia di affermare se stesse, in antagonismo, non in alleanza. Cifre, numeri, tutto oggettivo e asettico? No, quello che manca, nella riflessione a margine di una relazione che non racconta storie inventate e legate a danari o imprese, quello che manca, egregio Direttore, è l’umanità, l’attenzione alla persona, anzi, alle persone, coinvolte in quella devastazione che è l’applicazione della legge 194/78.

Prof. Vittoria Criscuolo

Vicepresidente Comitato “Pro-life insieme

www.prolifeinsieme.it

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Egregio Direttore,

Vorrei commentare l’articolo sulla sua Testata relativo alla attuazione della legge 194/78. L’evento traumatico e drammatico della interruzione volontaria di gravidanza è ampiamente documentato scientificamente, in quanto esiste un legame biochimico e organico che si crea sin dal concepimento tra la donna e l’embrione…Sì, perché l’embrione, non importa se voluto o non voluto, resta un figlio per sempre. Infatti, per chi ha a che fare quotidianamente con le persone – non con le ideologie – sarebbe sufficiente ascoltare il dolore delle donne che, a distanza di anni, ancora si portano dentro, come un vuoto.

Ma questo dolore non va raccontato nella stampa, nelle TV, nei media, viene negato e taciuto, spesso mascherato da slogan quali “ho abortito e sto benissimo” quasi per banalizzare una scelta così delicata. Ma il dolore si può negare anche a noi stesse, scegliendo di non ascoltarlo, ciò non significa che non esista. Questo dolore agisce comunque nella donna e porta delle conseguenze, che la donna ne sia consapevole o che decida di restare inconsapevole a riguardo.

Invece di educarci tutti all’ascolto delle esperienze vissute dalle donne, ci si limita a leggere dei numeri e delle statistiche, inneggiando a presunti “diritti”, distorcendo perfino la stessa 194 che prevede la tutela della maternità e proibisce l’ aborto come mezzo per il controllo delle nascite. I dati dovrebbero servire a porci dei quesiti più profondi, non a creare una “mappa di geolocalizzazione” dove poter accedere “facilmente” all’aborto, come se si stesse parlando di un servizio sanitario legato alla cura di una malattia.

La gravidanza – tranne casi specifici nei quali la donna già soffre di una patologia – non è una malattia! Nella gravidanza infatti la donna, per natura, sviluppa una forza enorme nel suo organismo proprio per accogliere la vita! Ricerche scientifiche parlano infatti di cellule che continuano a riparare i tessuti danneggiati anche per anni dopo la gravidanza.

Un dato allarmante, inoltre, è rappresentato dall’ aumento degli aborti farmacologici con la pillola abortiva RU486. Chi difende la 194 sostiene l’importanza di combattere gli aborti clandestini, ma con la RU486 cade ogni maschera, in quanto la donna è lasciata sola con enormi rischi di salute fisica e psicologica. Il mistero della Vita merita rispetto e non banalizzazione.

Manuela Ferraro

Poggibonsi SI

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