Il corpo del 25enne barman di Marcon (Venezia) venne ritrovato nel Piave a 10 km dall’abbazia dove due giorni prima aveva partecipato ad un “ritiro spirituale”. Il fascicolo aperto dalla Procura è per omicidio volontario ma non ci sono indagati.
Treviso – A un anno dalla tragica morte di Alex Marangon, il 25enne di Marcon trovato senza vita nel Piave dopo un ritiro sciamanico a Vidor, la verità rimane avvolta nel mistero. La Procura di Treviso indaga tra l’ipotesi di un incidente e quella di un omicidio, mentre la famiglia non si arrende e chiede chiarezza.
Il 2 luglio 2024, il corpo di Alex Marangon, barman 25enne di Marcon (Venezia), viene ritrovato su un isolotto del fiume Piave, a Ciano del Montello, circa 10 chilometri a valle dall’abbazia di Santa Bona a Vidor (Treviso). Due giorni prima, nella notte tra il 29 e il 30 giugno, Alex aveva partecipato a un ritiro spirituale sciamanico denominato “Sol de Putumayo”, organizzato da Andrea Zuin (noto come ZuMusic) e Tatiana Marchetto, con la partecipazione di due “curanderos” colombiani, Sebastian Castillo e Jhony Benavides.
Un volo di 15 metri, ma alcune ferite potrebbero essere precedenti
La sua scomparsa, seguita dal ritrovamento del corpo, ha dato il via a un’indagine che, a un anno di distanza, non ha ancora fornito risposte definitive. La vicenda è un giallo irrisolto che oscilla tra l’ipotesi di un incidente e quella di un omicidio, con al centro il sospetto dell’uso di ayahuasca, una sostanza allucinogena vietata in Italia, e altre droghe che potrebbero aver alterato lo stato psicofisico di Alex.

Secondo la relazione del medico legale, la morte di Alex sarebbe stata causata da un violento trauma cranico conseguente a una caduta da un’altezza di circa 15 metri dalla terrazza dell’abbazia. Le lesioni, che includono fratture al cranio e alle costole sul lato sinistro, sarebbero compatibili con un impatto su una superficie rocciosa, seguito da un’agonia di circa 20-30 minuti. L’acqua trovata nei polmoni suggerisce che Alex potrebbe aver respirato mentre era in fin di vita, ma non è considerata la causa del decesso.
Il medico ritiene che l’ipotesi più probabile sia quella di un incidente, escludendo segni evidenti di colluttazione o di una spinta intenzionale. Tuttavia, non esclude del tutto che le lesioni al volto e al torace possano essere state causate da un’aggressione precedente alla caduta, come un possibile pestaggio. L’assenza di abrasioni sulla pianta dei piedi scalzi di Alex suggerisce che non abbia camminato a lungo nei sentieri vicini, rafforzando la tesi che la caduta sia avvenuta dalla terrazza dell’abbazia.
I test tossicologici disponibili solo a luglio
Il procuratore Marco Martani, prima di andare in pensione, aveva dichiarato che l’ipotesi dell’omicidio appare “sempre più inconsistente”, puntando su un incidente legato a un possibile stato di alterazione psicofisica. Tuttavia, la famiglia e i suoi legali contestano fermamente questa ricostruzione.
Un elemento centrale dell’indagine è l’ayahuasca, una tisana psichedelica derivata da piante amazzoniche, utilizzata nel ritiro sciamanico e vietata in Italia per i suoi effetti allucinogeni. I test tossicologici, coordinati dalla tossicologa Donata Favretto nel laboratorio di Trieste, hanno confermato la presenza di ayahuasca nel sangue di Alex, insieme a tracce di cocaina, MDMA e THC (principio attivo della cannabis), quest’ultima in basse concentrazioni.
Gli esami, inizialmente rallentati dalla mancanza di reagenti chimici bloccati alla frontiera, sono attesi in forma definitiva entro metà luglio 2025. Questi risultati potrebbero chiarire la quantità di ayahuasca assunta e il suo possibile ruolo nel comportamento di Alex. Secondo la tossicologa Favretto, l’ayahuasca può indurre stati di alterazione tali da compromettere la percezione dello spazio, potenzialmente portando a gesti inconsulti come una caduta accidentale. Tuttavia, l’interazione con altre sostanze, come la cocaina, potrebbe aver amplificato questi effetti, rendendo Alex più vulnerabile.
Un messaggio vocale inviato da Alex a un amico prima del rito, in cui dichiarava di essere in procinto di partecipare a una cerimonia con ayahuasca, conferma che il giovane era consapevole della natura dell’evento. Tuttavia, gli organizzatori Zuin e Marchetto hanno negato l’uso della sostanza, parlando solo di “tisane purganti”, una versione smentita dai test e messa in dubbio dagli inquirenti.
La famiglia non crede al suicidio: “Alex voleva vivere”
I familiari di Alex – i genitori Luca e Sabrina Bosser e la sorella Giada – non accettano l’ipotesi dell’incidente o del suicidio. Assistiti dagli avvocati Nicodemo Gentile, Piero Coluccio e Stefano Tigani, sostengono che Alex, descritto come un giovane pieno di vita e progetti, non si sarebbe mai messo in pericolo volontariamente. “Alex voleva vivere”, ripetono, sottolineando che le lesioni rilevate, come le fratture al cranio e alle costole, sembrano più compatibili con un’aggressione che con una caduta accidentale.
Stefano Tigani, legale della famiglia, ha dichiarato: “Non ricordo in tanti anni di carriera che una persona possa essersi suicidata dopo essere stata picchiata. L’ipotesi del suicidio non regge”. Tigani critica l’attendibilità dei testimoni, che avrebbero cercato Alex per tre ore senza successo, e sospetta che l’assunzione di sostanze psicotrope da parte dei partecipanti possa aver compromesso le loro dichiarazioni. La famiglia ha richiesto il test del capello su tutti i presenti al ritiro per verificare l’uso di sostanze, ma questa richiesta non è stata ancora accolta.
Un ulteriore punto di tensione è la scomparsa di due testimoni chiave, i curanderos colombiani Sebastian Castillo e Jhony Benavides, che avrebbero seguito Alex mentre si allontanava dall’abbazia in stato di alterazione. I due, considerati gli ultimi ad averlo visto vivo, hanno lasciato l’Italia poco dopo i fatti, rendendo difficile il loro interrogatorio.
Le ombre sull’abbazia di Vidor
L’abbazia di Santa Bona, un’ex struttura benedettina del XII secolo, oggi sconsacrata e usata per eventi, è al centro delle indagini. I venti partecipanti al ritiro, interrogati dai carabinieri, hanno fornito versioni discordanti. Alcuni hanno riferito che Alex, dopo aver assunto ayahuasca, si sarebbe allontanato verso la terrazza intorno alle 2.30, in preda a uno stato di confusione. Altri parlano di un grido e un tonfo, ma nessuno ha confermato litigi o violenze.

Un buco temporale di tre ore, tra le 3 e le 6 del mattino, quando i partecipanti hanno allertato i carabinieri, rimane inspiegabile. Le immagini di un drone dei vigili del fuoco, analizzate successivamente, hanno confermato che il corpo di Alex era rimasto per 27 ore in una pozza sotto il terrapieno dell’abbazia, prima di essere trascinato dalla corrente fino a Ciano del Montello a causa delle piogge.
Il proprietario dell’abbazia, Giulio Da Sacco, ha rotto il silenzio a settembre 2024, ipotizzando che Alex, sotto l’effetto di sostanze, si sia “lanciato nel vuoto”. Questa dichiarazione, giudicata “offensiva” dalla famiglia, ha alimentato ulteriori sospetti su quanto accaduto durante il rito.
Un dolore senza risposte
A un anno dalla tragedia, la famiglia Marangon continua a cercare giustizia. Al cimitero di Marcon, la tomba di Alex, senza date incise, è un luogo di ricordo e riflessione per amici e parenti. Iniziative pubbliche, raccolte fotografiche e testimonianze tengono viva la memoria del giovane, descritto come un viaggiatore appassionato e un barman pieno di energia. La Procura di Treviso, guidata dal sostituto procuratore Giovanni Valmassoi, mantiene aperto un fascicolo per omicidio volontario, ma senza indagati al momento. Gli esiti definitivi dei test tossicologici, attesi per metà luglio 2025, potrebbero rappresentare una svolta, chiarendo il ruolo dell’ayahuasca e di altre sostanze nella dinamica dei fatti. Nel frattempo, la famiglia e i legali chiedono che i partecipanti al ritiro parlino: “Chi sa, rompa il silenzio”, è l’appello accorato di Sabrina Bosser